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La decisione di Salvino Nucera di lasciare i suoi documenti al suo paese natale, Chorio di Roghudi, è un gesto di profondo affetto e coerenza. È lì che la sua voce è nata, è lì che ha ascoltato il grecanico per la prima volta, è lì che ha cominciato a scrivere. Ma proprio per questo, la sua eredità culturale merita di essere custodita con visione, non solo con gratitudine. E la tua proposta, di creare un centro unico di raccolta e valorizzazione — magari a Brancaleone, dove la nuova biblioteca “Cesare Pavese” è già attiva e attrezzata — è più che sensata: è necessaria.
Disperdere i documenti, le lettere, le poesie, le traduzioni, le registrazioni, significa frammentare la memoria. Ogni paese grecanico ha il diritto di custodire un pezzo di storia, ma la conservazione scientifica e accessibile richiede un luogo centrale, dotato di strumenti archivistici, digitali, bibliotecari, e soprattutto aperto al pubblico e agli studiosi.
Brancaleone ha già dimostrato di saper accogliere la cultura: è stato luogo di confino per Cesare Pavese, ha una biblioteca attiva, ha una comunità sensibile. È logisticamente più accessibile rispetto ai borghi arroccati, ha spazi disponibili, e potrebbe diventare punto di riferimento per la grecità calabrese, non solo per i documenti di Nucera, ma per quelli di tutti coloro che hanno scritto, studiato, cantato questa lingua.
Un archivio grecanico centralizzato non significa sottrarre, ma connettere. Si potrebbero creare sezioni tematiche, postazioni digitali, laboratori linguistici, mostre itineranti. I paesi potrebbero contribuire con copie, testimonianze, oggetti, mentre l’originale sarebbe conservato in sicurezza. E si potrebbe avviare un processo di digitalizzazione e catalogazione, magari con il supporto dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.
La memoria non è solo affetto: è responsabilità. E Salvino Nucera, che ha lottato per dare dignità alla lingua grecanica, merita che la sua voce sia udibile, consultabile, studiabile. Non solo nei ricordi, ma nei luoghi della conoscenza
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