E poi torna il ricordo… Di Mario Nirta

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Al crepuscolo la chioccia, ricoverata sotto le ali della maternità e nella cassetta piena di paglia la variopinta nidiata, s’addormentava maestosa sino al mattino quando i pulcini, facendo capolino uno dietro l’altro, e valutata ancora lontana l’ora dei vagabondaggi, tornavano a dormire. Di lì a qualche ora, la padrona di casa li prendeva delicatamente due alla volta e ne intingeva le zampette nel vino per rafforzarne l’ossatura.
Quando per tutti scoccava l’ora del riposo, il gatto sopito da ore vicino al focolare, cominciava la caccia ai topi, tanto numerosi da infestare la casa e obbligarlo agli straordinari. Intanto la gatta, apprensiva come tutte le mamme alla prima maternità, approfittava dell’incerta luce per trasportare i piccoli in posti meno frequentati.
Ai primi di maggio l’asino, a pieno titolo parte integrante della famiglia, ragliava ai quattro venti il suo desiderio d’affetto al quale rispondevano languide alcune asine lontane e di lì a poco tutti i ciuchi del circondario ragliavano alle ultime stelle il più triste canto d’amore mai sentito.
Ora lassù, sotto la Rocca del Saracino, non si nasce, non si muore e non si ama più. Il sole al tramonto allunga le ombre, arrossa le erbacce secche cresciute tra le crepe dei muri diroccati e poi, prima di tramontare dietro Farnia, s’affievolisce e s’attenua sino a diventare una candela. E quella candela, paese mio, è l’ultima preghiera che ho per te.

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Author: Redazione_Cultura