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“ Nella parte più meridionale della nostra penisola, in alcuni paesi montani che sorgono a metà strada fra Locri e Reggio, gli anziani agricoltori ed i pastori parlano ancora un arcano dialetto greco che, giunto fino a noi attraverso una tradizione puramente orale, sembra quasi non aver mai avuto un suo passato ed una sua storia …”.
Così si esprimeva nella sua importante opera : “ La Glossa di Bova”, il compianto e mai dimenticato Prof. Giovanni Andrea Crupi, il quale, in un’epoca “cruciale”(anni ’70) per la sopravvivenza della Lingua Greca di Calabria, antichissimo e nobilissimo “idioma dei Padri”, era riuscito, forse più di chiunque altro, a porre la “questione grecanica” nei termini più “incisivi” possibili. (Preciso fin da subito che, “grecanico” è un “etimo” -usato sia come aggettivo che come sostantivo- che non amo, in quanto, nel tempo, ha assunto una “connotazione” che, in parte, reputo impropria, una “deminutio” , e, la maggior parte dei “grecanici”, non accettano questa definizione, preferendo quella di : Grecofono, Ellenofono o Ellenofono di Calabria, Calabrogreco, Greco di Calabria per indicare il parlante greco; ed ancora: lingua greca di Calabria, Greco di Calabria, greco calabro o calabro greco per indicare il proprio “dialetto”)- Vale a dire-tornando al Crupi-: non si trattava di salvare soltanto una lingua ( per altro lingua-madre…), ma , tutta una cultura, “le cui origini si perdevano nella notte dei tempi”. Egli lottò strenuamente per dare voce ai “Greci di Calabria”: “Dòste mia fonì ecinò ti den tin èchu”(Date una voce a quelli che non l’hanno), andava ripetendo a tutti, compresi gli studenti di Liceo che, come il sottoscritto, ebbero l’onore di averlo come Docente di Storia e Filosofia. “Greki ambrò!”, amava ribadire nei numerosi incontri e convegni a cui partecipava. L’epigrafe in greco( in caratteri latini, com’è in uso nel Greco di Calabria), sul freddo marmo della sua lapide, racchiude , in estrema sintesi, quelli che sono stati i suoi valori imprescindibili, ciò che ha rappresentato l’essenza della sua purtroppo breve esistenza:
“Eplàtezza ‘zze filosofia “ Ho parlato di filosofia
Ègrazza stin glòssa tu Vua Ho scritto nella lingua di Bova
Agàpia tin anarchìa “ Ho amato l’anarchia “
Ho voluto iniziare questo breve lavoro “dando voce”, doverosamente, ad una delle più importanti figure del “cosmo” greco-calabro, sia per la profonda stima da sempre nutrita nei suoi confronti, sia perché, è stato proprio in quegli anni (fine anni ’60-inizio anni ’70), che- grazie anche all’opera del Crupi ed all’impegno di altri giovani valenti intellettuali della Bovesìa, alcuni dei quali trasferitisi a Reggio, e, con il contributo di qualche importante studioso reggino – si è ricominciato a (ri)prendere coscienza del proprio passato e si è sentito il bisogno di “recuperare”, di riscrivere la propria storia, una storia che fin dalle sue lontanissime origini, trasuda di una grecità profonda, granitica a tal punto da averne “ossificato” l’identità…
In questo “ultimo rifugio dell’ellenismo”( leggi: Area Grecanica-Bovesìa), da ormai 30-40 anni, l’etnia greca di Calabria è al centro di un intenso fermento intellettuale, avente come obiettivo la salvaguardia, la rivalutazione e la valorizzazione del patrimonio linguistico, storico e culturale dell’area.
Siamo “in finibus Calabriae”, nel’estremità meridionale dell’Aspromonte, un territorio in cui, nel corso della sua plurimillenaria storia, si è miracolosamente conservata un’identità linguistico-culturale, rimasta per alcuni versi un “unicum” nel panorama della Calabria intera. E’ questa l’area in cui vivono( continuano a vivere, fin… dall’VIII sec.a. C.) , i Greci di Calabria, “diventati” minoranza linguistica, ma sempre, “maggioranza culturale”, dal momento che le radici, “ I Rìze”, vere e proprie “valori eterni”, permeano secoli e secoli di storia, facendo dell’estremo punto meridionale della Calabria, una “terra dall’anima greca”, una “terra greca nell’occidente latino”. Terra, storicamente più orientata verso la “Graecitas” che la “Romànitas”, in cui è del tutto palese, tra l’altro, una “interdipendenza culturale” con l’intera Calabria meridionale, ma, soprattutto, con la Locride, con l’Area dello Stretto, con l’Estremità Nord-Orientale della Sicilia e con la Grecìa Salentina.
In questo lavoro, concentreremo la nostra attenzione, soprattutto , su quello che può essere considerato il segmento culturale più importante( o, quanto meno , tra i più importanti) della cultura greco-calabra, ovvero, la lingua, “elemento” di vitale importanza per la sopravvivenza del tanto variegato quanto affascinante mondo dei “Grèki tis Kalavrìa”.
Sul “greco di Calabria” o “greco-bovese”( per dirla con il Crupi e con il Rohlfs), moltissimo è stato scritto. Pertanto, questa breve nota non ha, né può avere pretesa alcuna, di aggiungere nulla di particolarmente “nuovo”, semmai, vuole semplicemente essere, una pacata ma sentita “riflessione” sulla “glòssa palèa”, sulla lingua dei Padri, per secoli in “travaglio”, in affanno, addirittura in agonia, ma mai morta, nonostante innumerevoli “becchini”, nel corso della sua lunga storia, si siano accostati più volte dinanzi al quasi “feretro greco-calabro”, con lo scopo di poterlo “finalmente” seppellire…
L’origine della lingua greca di Calabria, non è stata mai definitivamente chiarita, e, l’acceso dibattito che non ha lesinato “punte” di aspra polemica, tra lo schieramento “rohlfsiano”, che ritiene il “greco di Calabria” diretto discendente di quello della Magna Grecia, e, quello “morosiano”( o, “parlangeliano”), che lo vuole invece erede del greco-bizantino( nato, cioè, in età bizantina), ha portato ad una gran quantità di studi , ma non ha-per alcuni- risolto del tutto, i dubbi sulla sua “nascita”. La tesi “megaloellenica” (rohlfsiana), è comunque quella nettamente dominante, e sono molti ad aver attribuito alla teoria “bizantinista” ragioni di ordine “ideologico”.
Senza immergerci nell’aspetto prettamente linguistico, solo “sfiorandolo” a mala pena, diciamo che Gerhard Rohlfs, ha più volte ricordato che i Bizantini ( in realtà : “Romèi”, ovvero, “Romani d’Oriente”, di cultura greca), non hanno lasciato traccia alcuna della loro lingua né a Bari, né a Ravenna( ex Capitale dell’Esarcato), né in Dalmazia e neppure in Sardegna, regioni dove, a lungo, mantennero il loro impero.
Se da una parte i “dorismi” e gli “arcaismi”, anteriori alla “Koinè”( IV° sec. a.C), presenti esclusivamente nel “greco di Calabria”, “tagliano la testa al toro” riguardo l’origine dell’idioma tutt’ora presente-per lo più- nella “Isola Ellenofona dell’Area Grecanica”, d’altra parte, sono gli stessi storici ad indicare una realistica soluzione ella “vexata quaestio”. Vera Von Falkenausen, in merito, dice:”…Sembra che la grecità meridionale si basi su un sostrato greco anteriore, che non si era mai completamente spento e che fu quindi “rianimato” dalla “riconquista bizantina”. L’illustre studiosa, inoltre, esclude un progetto “dall’alto”, da parte di Costantinopoli, che avrebbe comportato una migrazione “pilotata” di popolazioni in grado di “colonizzare”, in senso “greco”, la Calabria. Trasferimenti di gruppi etnicamente omogenei, erano normali in un impero plurietnico come quello bizantino, per esigenze militari e commerciali; ma ciò, “non può essere considerato come uno spostamento di popolazioni numericamente rilevante”;(…)” possiamo calcolare che una flotta di 100 navi, avrebbe potuto trasferire al massimo 15.000 orientali in Italia, se tutte le navi avessero raggiunto la destinazione senza danno”.
Inoltre, i bizantini non hanno mai imposto la propria lingua ai propri sudditi, e, per di più, alla metà del sec. VIII°, la Calabria era già di lingua e liturgia bizantina, tanto è vero che il decreto di Leone III° L’Isàurico(732-733), non incontrò nessuna opposizione “in loco”( cosa che invece non si verificherà quando i Normanni cominceranno a “latinizzare” la Calabria, imponendo la lingua latina e la liturgia di Roma).
Un ulteriore, significativo contributo alla tesi “magnogreca” ci viene fornito, di recente, da una pregevolissima ed importantissima edizione di 62 epigrafi greche del Museo di Reggio Calabria, pubblicata dalla “epigrafista” Lucia D’Amore nel 2007. Attraverso la loro attenta lettura, qualsiasi linguista che non abbia posizioni precostituite, può agevolmente rendersi conto, infatti, che la tesi di Rohlfs sulla presenza nella Calabria meridionale, di ellenofoni, fin dai tempi antichi, è qui confermata”scientificamente”, in quanto, le epigrafi “occupano” un arco di tempo che va dal secolo VI° a.C., al 1.000 d.C., cioè, fino all’arrivo dei Normanni(!)… I testi di queste importantissime epigrafi, composti in esametri e pentametri in lingua greca, costituiscono, secondo l’illustre studioso reggino, Prof.Mosino, “ una straordinaria testimonianza per la storia linguistica e culturale di Reggio e della sua “Chòra”; inoltre, egli fa notare che da queste “attestazioni”, emerge altresì, che a Rhègion, “si parlava greco e latino secondo la metrica greca”.
Dopo il piccolo contributo, di cui sopra, alla tesi “rohlfsiana”, ci piace ricordare che, da vivo, il grande glottologo e filologo tedesco, ricevette onori e riconoscimenti nella Calabria tutta : la cittadinanza onoraria di Bova, la laurea “honoris causa” dell’Università di Cosenza; molti Comuni, dopo la morte, gli intitolarono vie e piazze, come di recente il paese di Badolato(CZ).
Tornando alla parte più propriamente “storica”, possiamo affermare, quindi, l’ininterrotta presenza della lingua greca durante l’intero periodo “romano” e la nettamente sua maggior diffusione , specie nella parte meridionale della Calabria, dopo la caduta dell’Impero , anzi, essa rappresentò anche la “varietà alta” fino all’XI° sec., ovvero, fino all’avvento dei Normanni, i quali diedero avvio- con l’appoggio della Chiesa di Roma- ad una irreversibile inversione di tendenza : linguistica, culturale e religiosa. Gli “uomini del Nord”, infatti, quantunque “nati” predoni e mercenari, si dimostrarono, strada facendo, conquistatori attenti e dotati di uno spiccato senso dell’opportunità politica, e, pur apparendo tolleranti nei confronti della chiesa greca, iniziarono contemporaneamente quell’inarrestabile processo di “latinizzazione” della Calabria meridionale, che avrebbe condotto, più tardi, alla fine del rito greco e , quindi, anche del prestigio della lingua greca. L’anno 1059 (caduta di Reggio) e l’anno 1081 (caduta di Bari), ad opera dei Normanni, rappresentano due date storiche molto negative, anzi, “cruciali” per il “destino” della grecità in terra meridionale. Le “buie notti” angioine, aragonesi e spagnole,più tardi, sono una perentoria conferma della quasi totale “occidentalizzazione” di usi, costumi, cultura, lingua e religione. Anche nella Bovesìa, ultimo baluardo greco, dal punto di vista linguistico, culturale e cultuale, la situazione, già compromessa, sarebbe precipitata dopo la fine ( leggi pure :soppressione) del rito greco-bizantino, nel 1572/73, ad opera del vescovo armeno-cipriota Giulio Stauriano. Sull’onda della Controriforma tridentina, al vescovo di Reggio, Annibale D’Afflitto, basteranno pochi decenni (1593-1638), per sradicare completamente il rito greco dalle sue ultime ed ormai umilissime “dimore” intorno a Bova e nelle “Cinque Terre”( diocesi “greca” di Reggio), per trapiantarvi quello latino.
Da questa epoca in avanti, nella “Bovesìa e dintorni”, da lingua di culto e di prestigio, il greco passa a lingua della “misera plebs”. Nel 1806, dopo una fase piuttosto oscura ( anche se la lingua greca trova “ospitalità”- ma in “caratteri” latini- nelle opere del De Marco, del Mesiani, del Rodotà), l’interesse per il greco di Calabria si riaccese dopo che J.C. Eustace visitò la zona sud-aspromontana e segnalò “popolazioni di lingua greca”e, più ancora, dopo la pubblicazione sul “Philologus”, di alcuni canti “bovesi” di Karl Witte(1821), commentati qualche decennio più tardi dal Pott (1856). Fu dalla seconda metà dell’800 che cominciò ad aprirsi una profonda discussione sulla origine e la natura di questo “greco-linguaggio”. In particolare ( come accennato in precedenza), Giuseppe Morosi (1870-1878), sosteneva l’origine bizantina dell’idioma greco parlato in questi territori e fu una teoria che fino al 1924 imperò incontrastata fino a quando, il più grande filologo, glottologo e dialettologo della storia, l’illustrissimo Prof. G. Rohlfs, non la “demolì”, in modo scientifico. L’illustrissimo studioso tedesco, a cui la Calabria ( e non solo)deve moltissimo, produsse un fondamentale “corpus probatorio”, di ordine lessicale, morfosintattico, onomastico, toponomastico, fitonomastico, agionomastico, ecc., raccolto dal 1921 al 1980 circa, anche attraverso visite “porta a porta”, di 350 località in Calabria, spesso a “dorso di mulo”, con il quale fu in grado di fornire, inequivocabilmente, la prova della ininterrotta presenza del greco “ex temporibus antiquis”.
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