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Lo Stretto e la nebbia della propaganda: perché dire no al Ponte è un atto d’amore
Siamo ormai abituati alle meraviglie promesse dall’intelligenza artificiale, capace di generare immagini suggestive e testi più o meno coerenti. Quello a cui non ci si abitua, invece, è la leggerezza con cui si fa uso di questi strumenti per alimentare una propaganda stantia e spesso ai limiti del grottesco.
Prendiamo il caso del Ponte sullo Stretto di Messina: una delle grandi opere più discusse, annunciate e mai realizzate della storia italiana recente. Il problema non è solo tecnico o economico. È soprattutto simbolico e politico. Perché dietro il continuo rilancio mediatico del progetto si cela un vuoto di contenuti, una pericolosa distrazione collettiva e una miopia rispetto ai reali bisogni delle popolazioni di Calabria e Sicilia.
Da anni, la narrazione “pontista” non offre argomenti nuovi. Come giustificare, del resto, un’infrastruttura dai costi esorbitanti e in continua lievitazione, ancora priva di un progetto esecutivo definitivo, il cui impatto ambientale è stato approvato solo parzialmente grazie a una valutazione condotta da tecnici legati politicamente agli stessi promotori dell’opera?
E come spiegare che per finanziare questo faraonico progetto si siano sacrificati miliardi di euro destinati allo sviluppo e alla coesione di Calabria e Sicilia, mentre i fondi per strade provinciali, trasporti locali e alta velocità ferroviaria rimangono insufficienti o addirittura tagliati?
A tutto questo si aggiunge l’interrogativo sull’utilità stessa del Ponte. I dati sui flussi di traffico non ne giustificano la realizzazione. Esistono soluzioni alternative, più economiche e sostenibili, che potrebbero migliorare la mobilità nello Stretto senza snaturarne il paesaggio né devastare i territori.
La propaganda, però, continua imperterrita. Si promette sviluppo, si sbandierano posti di lavoro, si annunciano rivoluzioni infrastrutturali. Ma intanto restano irrisolti i veri nodi: la sanità pubblica al collasso, le reti idriche fatiscenti, il dissesto idrogeologico, l’emigrazione giovanile, la mancanza di prospettive. Dire che tutto questo sarà risolto dal Ponte è, nella migliore delle ipotesi, una pia illusione; nella peggiore, un’ingannevole operazione di distrazione di massa.
C’è poi un aspetto spesso sottovalutato: quello ambientale e urbano. Villa San Giovanni e Messina rischiano di diventare città-cantiere per decenni, invase da rumori, polveri e un’infrastruttura che cambierà radicalmente la loro conformazione. Un prezzo troppo alto da pagare per un’opera che sembra servire più agli interessi di pochi che al bene comune.
Opporsi al Ponte, oggi, non significa essere contro il progresso. Significa chiedere un progresso giusto, sostenibile, aderente ai bisogni veri dei territori. È un atto di responsabilità, di visione, e sì – anche di amore – verso una terra che ha già pagato abbastanza in termini di promesse mancate e grandi illusioni.
Per questo è giusto che cittadini, associazioni, amministratori locali e voci libere si alzino e dicano con forza: NO al Ponte, SÌ al diritto di restare, vivere e costruire un futuro migliore per il Sud, a partire dai suoi reali bisogni.
Comitato NO AL PONTE
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