Lettera aperta ai politici calabresi: La sofferenza della “quasi fu” scuola pubblica calabrese

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Riceviamo e pubblichiamo:

Pare che la scuola statale, ogni anno, abbia diritto alla sua fisiologica “novembrite”. Esattamente come ogni dipendente pubblico, pare, abbia maturato un tacito diritto al virus influenzale d’ultimo ceppo.

            Ci siamo così abituati, anno dopo anno, taglio dopo taglio, ai rigurgiti rivoluzionari degli studenti che si ostinano a protestare in difesa della scuola pubblica. Ogni tanto fa capolino in piazza anche qualche genitore eccentrico, con bimbi colorati al seguito, che si lamenta (ma li scusiamo, sono ancora “troppo” giovani) per quella carta igienica portata da casa, per quella maestra o quel docente che non c’è, quanto meno non per il tempo scuola a cui pensavano di aver diritto, per quella struttura non a norma, in cui i loro figli passano tutta la mattinata.

            Ugualmente ci aspettiamo le proteste sindacali. Anzi, a dire il vero anche il personale scolastico comincia a desiderare e a temere di essere stato guarito (suo malgrado) dal desiderio di sfilare dietro un qualunque striscione.

            Anche il governo si è assuefatto a tutte le nostre variopinte e folkloristiche effervescenze rivoluzionarie e, bontà sua, ci scusa e non ci prende più tanto sul serio. Tende quindi a decidere, sempre di più, tutto da solo e (sempre di più) nella direzione, a senso unico, del risparmio.

            Ciò nonostante, nelle immancabili e attese proteste dell’autunno duemiladodici c’è qualcosa che comincia a preoccupare seriamente. Colpo dopo colpo, la nostra scuola pubblica, in particolare calabrese, sembra arrivata allo stadio quasi-terminale della terapia d’ossigeno.

Per capire qualcosa in più, passiamo in rapida rassegna quanto si è per ultimo deciso per la “quasi-fu scuola pubblica” italiana, in generale, e calabrese, in particolare.

            Tra luglio e novembre 2011 due successive leggi di stabilizzazione finanziaria portano all’innalzamento da 500 a 600 (in deroga da 300 a 400) del numero minimo di alunni che una scuola deve avere per potersi dire autonoma e avvalersi (ex-lege) della guida strategica di un dirigente scolastico, coadiuvato da un direttore dei servizi generali e amministrativi.

Spariscono, forzatamente, le ex-single scuole statali: dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado e al loro posto, sorgono megalitici istituti comprensivi (IC) di almeno 1000 alunni, nella prassi diventano di 1200-1400 iscritti, divisi tra plessi di un territorio più o meno ampio che mettono a rischio qualsiasi di governance. La decisione di innalzare la soglia minima di alunni, che la Corte Costituzionale ha bollato come una forma di invadenza “a gamba tesa” del governo centrale in una competenza regionale (sentenza n. 147 del 7 giugno 2012 della Corte Costituzionale) di fatto ha eroso un diritto – quello allo studio, ieri, oggi al successo formativo – costituzionalmente tutelato.

             Ai numerosi effetti negativi dovuti alle amputazioni del nuovo dimensionamento scolastico e ai vari tagli alle scuole – molti docenti titolari perdenti posto, molti precari senza più supplenze, molti ATA senza più lavoro, molti edifici “pericolanti” – si sono sovrapposte quelle operate dall’assegnazione del contingente di dirigenti scolastici. Il numero stimato di dirigenti scolastici, in base ad un forfettario parametro nazionale medio alunni-dirigenti, considerati gli effetti, sembra essere il frutto di un dialogo Stato-Regioni che fatica a trovare occasioni di armonico raccordo e di funzionale equilibrio tra le diverse esigenze in gioco. Il dubbio amletico, di una tesi e un’antitesi che non riescono a sfociare in sintesi, è sempre lo stesso: qualità del servizio (sinonimo di diritto costituzionale all’istruzione) o risparmio della spesa pubblica(che si risolve in aumento di spesa e danno per le famiglie) ?

            Tra i record dei danni si evidenzia, in negativo, quello della nostra regione chenonostante la presenza mal tutelata di diverse specificità orografiche, culturali e linguistiche del territorio, ha visto ben ottantotto istituzioni scolastiche (il 22% del totale) private di autonomia e affidate alla reggenza di dirigenti scolastici “obbligati” a dividersi tra due istituti, distanti anche oltre i cento chilometri tra di loro. E con doppio nocumento: alla sofferenza della scuola colpevole di “non avere i numeri”,   si somma quella di una seconda scuola, autonoma, che i numeri giusti li ha e talvolta anche in eccesso.

            Paradosso nel paradosso, tutto questo accade mentre ben novantotto vincitori del concorso a dirigente scolastico, sempre in ambito regionale calabrese, sono forzatamente e improduttivamente “congelati” alle griglie di partenza, nonostante l’impegno personale profuso per superare le quattro tappe di un concorso altamente selettivo che ha registrato, in media, il successo di quattro docenti su cento. E, per di più, in una cronologia dei numeri che ha visto lo Stato centrale imporre le nuove soglie minime di alunni (legge 111/2011) antecedentemente al bando di concorso che assegnava ben 108 posti al contingente dirigenziale calabrese.

            Preoccupano non poco le previsioni (sempre da stabilizzazione finanziaria) di ulteriori amputazioni sempre a carico dello stesso malato grave. L’innalzamento dell’orario di cattedra dei docenti da 18 a 24 ore, in base alle prime stime, taglierà ulteriori 29.000 posti, si dice (in tono consolatorio?) dei precari. Sembra legittimo chiedersi se siano gli stessi “giovani” a cui è destinato il neo concorso per docenti. Ancora più allarmante la proposta dall’art. 11 del decreto “sviluppo” del 4 ottobre 2012: sostituire la vecchia obsoleta scuola primaria, sacca di spreco nelle piccole isole e comunità montane con meno di 15 alunni, con la più economica didattica on-line. Le massime della pedagogia, quindi, sono l’ultimo tabù rimesso in discussione per far quadrare i conti del Paese.

            L’ironia amara è, come si capisce, l’increspatura vocale di chi: politico, ispettore, dirigente, direttore, docente, amministrativo, tecnico, ausiliario, sindacalista, genitore, alunno, cittadino, nella scuola pubblica ci crede e per la scuola pubblica si impegna, anno dopo anno, taglio dopo taglio, spesso nell’anonimato di una quotidianità condivisa con passione e impegno al fianco delle nuove generazioni.

            La scuola pubblica è di tutti ed è per tutti. E’ a servizio della promozione completa della persona, non solo luogo asettico di “apprendimento” quindi, ma di “formazione umana e culturale”, in linea con le politiche europee che rilanciano con forza la “qualità” dell’istruzione come fulcro strategico della leva-competitività.

            La scuola pubblica calabrese ha quindi il pieno diritto di chiedere che Stato e Regioni siano concretamente e non astrattamente garanti delle “pari dignità e opportunità” costituzionali, più sensibili alla prospettiva dell’immateriale e irrinunciabile “capitale umano” che del puro “risparmio economico”. E ciò, particolarmente, in un territorio in cui il valore aggiunto dell’istruzione può fare concretamente la differenza tra il rischio di una vita risucchiata dal vortice dell’illegalità o mortificata ai margini della società produttiva e la piena valorizzazione della persona, tesa al benessere individuale e sociale.

            Ridare ossigeno al diritto costituzionale allo studio, promuovendo il dialogo e la leale e costruttiva cooperazione tra tutti gli attori coinvolti, a vario titolo, nel processo di riqualificazione della risorsa scuola, deve essere l’imperativo categorico dell’intera società calabrese.

Firmato:

D’Andrea Maria Pia

Simona Sansosti

Docenti di scuola secondaria superiore, vincitrici del concorso per il reclutamento di Dirigenti Scolastici nella Regione Calabria, iscritte alla DIR_PRESIDI_SCUOLA.

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Author: Cristina

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