CasaPound replica a Nisticò: “Per sorvegliare ufficio postale non serve Safe City”

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Il dipendente delle Poste minacciato e ferito dai rapinatori è ancora in ospedale e la maggioranza in Comune già ne approfitta per strumentalizzare la rapina avvenuta questa mattina all’ufficio postale del quartiere Sala di Catanzaro.

Utilizzare episodi di cronaca per portare avanti proposte politiche e nello specifico il progetto Safe City, come ha fatto il capogruppo della lista Scopelliti in Consiglio comunale Carlo Nisticò, è già di per sé un atto di cattivo gusto, lo è ancor di più se non si è avuta neanche la decenza di far trascorrere un giorno dall’accaduto, per sfruttare appieno la comprensibile preoccupazione dei cittadini.

È opportuno, però, chiarire alla maggioranza che in uno Stato di diritto le esigenze di sicurezza devono accordarsi con i diritti e la libertà dei cittadini. Ecco la differenza con uno Stato di polizia: non tutti i mezzi sono consentiti per “acciuffare” i malviventi.

Le molteplici iniziative contro il progetto “Safe City”, compresa la petizione portata avanti da CasaPound Italia, infatti, muovono critiche non meramente “politiche” e quindi potenzialmente di parte, ma traggono origine da rilievi sostanziali riguardo al progetto.

Senza considerare che un ufficio postale può e deve proteggersi autonomamente, come accade per le banche, mediante l’istallazione di telecamere o, magari, la presenza di una guardia giurata (soluzioni che avrebbero certamente costi inferiori ai 23 milioni di euro più le spese di manutenzione del progetto voluto dalla maggioranza), ciò che tra le altre porta avanti la nostra petizione è semplicemente il rispetto di quanto indicato dall’autorità Garante della Privacy. Garante peraltro chiaro nel dire che la competenza per la sicurezza pubblica non è certo dei Comuni.

In ogni caso, nel Provvedimento Generale in materia di videosorveglianza, emesso dal Garante per la tutela dei dati personali il 29 aprile 2004, sulla base della Direttiva europea 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995 (art. 6, comma 1, lett. b-c; art. 7), è specificato: «Nel commisurare la necessità di un sistema al grado di rischio presente in concreto, va evitata la rilevazione di dati in aree o attività che non sono soggette a concreti pericoli, o per le quali non ricorre un’effettiva esigenza di deterrenza […]. Gli impianti di videosorveglianza possono essere attivati solo quando altre misure siano ponderatamente valutate insufficienti o inattuabili. Se la loro installazione è finalizzata alla protezione di beni, anche in relazione ad atti di vandalismo, devono risultare parimenti inefficaci altri idonei accorgimenti quali controlli da parte di addetti, sistemi di allarme, misure di protezione degli ingressi, abilitazioni agli ingressi. Non va adottata la scelta semplicemente meno costosa, o meno complicata, o di più rapida attuazione, che potrebbe non tener conto dell’impatto sui diritti degli altri cittadini o di chi abbia diversi legittimi interessi».

Tutto ciò sulla base di un esplicito «principio di proporzionalità», che certamente non è rispettato dalla media di circa otto telecamere per kmq previste dal progetto Safe City.

Il Garante, del resto, aggiunge: «Non risulta quindi lecito procedere, senza le corrette valutazioni richiamate in premessa, ad una videosorveglianza capillare di intere aree cittadine “cablate”, riprese integralmente e costantemente e senza adeguate esigenze. Del pari è vietato il collegamento telematico tra più soggetti, a volte raccordati ad un “centro” elettronico, che possa registrare un numero elevato di dati personali e ricostruire interi percorsi effettuati in un determinato arco di tempo».

Appare evidente che il progetto proposto contravviene a tutte queste prescrizioni e che, allo stesso tempo, quanto chiede chi vi si oppone non è certo la libertà per chi commette reati, ma un approccio selettivo e non ridondante nel videosorvegliare i cittadini. Approccio secondo il quale tenere sotto controllo un ufficio postale rientra nel lecito, tenere sotto controllo un’intera città, invece, no.

Per fare questo è chiaro che non c’è certo bisogno della Bunker Sec e del suo progetto multimilionario, posto che il consigliere Nisitcò ha evidentemente già stabilito preventivamente e con poco riguardo per esse, che le forze dell’ordine non riusciranno a venire a capo della vicenda.

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Author: Cristina

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