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Oggi Corrado Alvaro può apparire come un autore meno noto rispetto ad altri del Novecento italiano, ma la sua voce rimane straordinariamente importante in un momento storico in cui si torna a discutere delle disuguaglianze tra Nord e Sud, dell’emigrazione giovanile, della perdita delle radici culturali, offrendo una chiave interpretativa potente, una letteratura che unisce denuncia e visione, impegno e poesia.
Il suo realismo magico ci ricorda che ogni territorio ha un’anima, che il dolore collettivo ha bisogno di simboli per essere espresso, e che anche nelle zone più povere e dimenticate esiste una bellezza irriducibile, capace di parlare al cuore.
Le sue visioni non offrono consolazione, piuttosto rendono più palpabile la sofferenza, per il lettore moderno, abituato a narrazioni più rassicuranti, questa estetica forse può risultare dura, persino cupa. Tuttavia, è proprio in questa scelta di non edulcorare la realtà che Alvaro dimostra la sua attualità: racconta il Sud non come folklore, ma come enigma umano e storico irrisolto.
La Calabria di oggi, segnata ancora da spopolamento, disoccupazione e marginalità, avrebbe bisogno di una voce come quella di Alvaro, non per replicare la sua estetica, ma per proseguire la sua missione: rendere visibile l’invisibile, trasformare il dolore in racconto, la periferia in centro narrativo.
Se Alvaro raccontasse oggi la Calabria grecanica, probabilmente la ritrarrebbe come un luogo di confine, dove il tempo scorre con leggi arcaiche e la lingua dei padri sopravvive come un incantesimo. I borghi semiabbandonati tra i monti, le voci in greco di Calabria, le processioni silenziose, tutto diventerebbe parte di un affresco magico: una realtà intrisa di memorie, riti e destini sospesi.
Le pietre delle case parlerebbero ancora, come nel suo Aspromonte. Coglierebbe l’anima misteriosa di questi luoghi, e la trasformerebbe in parabola, dove la sopravvivenza di una cultura millenaria sarebbe il vero miracolo, l’ultimo atto di resistenza poetica contro l’oblio. Riconoscerebbe in questa terra il segno vivo di un’origine antichissima, l’eco della Magna Grecia che ancora resiste nei volti, nelle voci, nei gesti. Vedrebbe nei borghi arroccati, nelle parole grecaniche che si ostinano a sopravvivere, una bellezza segreta, minacciata dall’abbandono e dall’oblio.
Ovviamente non possiamo sapere cosa avrebbe detto oggi Alvaro, ma forse sarebbe stato d’accordo con le mie parole. Chissà?
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