Incontro virtuale con Mario la Cava

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La frase “i popoli possono cambiare i loro destini, a patto che ne abbiano la possibilità”, che sintetizza bene il pensiero di Mario La Cava, non è una sua citazione testuale, ma un’efficace parafrasi del suo sguardo tragico e insieme aperto sulla storia. Tuttavia, concetti simili — che legano il cambiamento sociale alla possibilità concreta di agire, e non solo alla volontà — sono stati espressi da numerosi pensatori, scrittori e filosofi.

Pasolini, soprattutto nelle sue riflessioni sulla “mutazione antropologica”, riteneva che i popoli, soprattutto quelli del sud, avrebbero potuto cambiare il loro destino, se non fossero stati travolti da un progresso imposto e cieco.

Nel cuore di un’Italia che spesso dimentica le sue periferie, I fatti di Casignana di Mario La Cava si staglia come un romanzo capace di raccontare non solo una pagina dimenticata della storia calabrese, ma anche di rispecchiare con drammatica lucidità il presente del nostro Paese. Pubblicato nel 1974, scritto tra il 1970 e il 1973, il romanzo rappresenta il punto più alto della produzione dello scrittore di Bovalino. È un’opera che non racconta semplicemente il passato, ma lo interroga, lo rielabora e lo fa deflagrare nel presente.

Alla base del romanzo ci sono eventi reali: l’occupazione delle terre incolte in seguito al decreto Visocchi del 1919, e il successivo voltafaccia del potere centrale, che col pretesto dell’ordine restituirà le terre ai latifondisti, lasciando i contadini in balia della violenza fascista. Ma il racconto di La Cava va ben oltre la cronaca. Nelle pieghe del romanzo pulsa una tensione etica, civile e politica che nasce dalla contemporaneità dello scrittore. Sono gli anni delle bombe, degli intrighi, dei depistaggi, e La Cava percepisce nella strategia della tensione un ritorno del “serpente nero” del fascismo, il potere amorale che non muore mai, ma si trasforma, si insinua, ritorna.
A Casignana la storia irrompe in un tempo mitico. Filippo Zanco, giovane medico idealista, e Colombo, ex brigadiere, cercano di costruire un futuro diverso. Conducono i contadini alla conquista delle terre e alla vittoria elettorale. Ma l’utopia si scontra con la realtà: la reazione fascista spezza il sogno, riportando al potere i soliti notabili, i conservatori, i complici dei soprusi. È il destino che si ripete, ma non senza lasciare una traccia di resistenza.

Il paragone con Cristo si è fermato a Eboli è inevitabile, ma se Carlo Levi descrive un mondo arcaico e immobile, La Cava racconta un popolo che prova a sollevarsi, che tenta, pur se sconfitto, di incidere sulla storia. L’insuccesso non cancella la dignità del gesto, né la profondità della ferita. Come nei Racconti di Bovalino, la speranza resta, pur nella tragedia. La vita continua tra miseria e sogni, tra ingiustizie e legami familiari, tra colline spoglie e case che tornano ad animarsi.

Il linguaggio di La Cava è essenziale, preciso, antiretorico. Egli è un autore profondamente moderno e, allo stesso tempo, ancorato a una tradizione antica.

Il suo meridionalismo non è un lamento né una retorica identitaria, il destino, sembra dirci La Cava, non è immutabile. Ma il cambiamento è possibile solo se ci sono le condizioni per perseguirlo. E allora la sua narrazione non è mai puramente tragica, ma contiene sempre un filo di speranza, un’apertura. Non l’ottimismo ingenuo, ma la consapevolezza lucida che ogni sconfitta lascia dietro di sé la possibilità di un riscatto. Basta che ci sia memoria. E ascolto.

A distanza di cinquant’anni dalla pubblicazione dei Fatti di Casignana, molte delle questioni centrali del romanzo non solo sono rimaste irrisolte, ma si sono incancrenite in una condizione di invisibilità sistemica. La Locride e la Calabria grecanica sono oggi, nel 2025, aree marginalizzate da decenni di abbandono istituzionale, spopolamento, precarietà sociale ed economica, oltre che da un’egemonia culturale che ha reso queste zone periferiche anche nel discorso nazionale.

Il sogno di una rigenerazione collettiva che attraversa il romanzo di La Cava appare oggi più fragile che mai. L’occupazione delle terre di allora può essere letta come una metafora potente per l’oggi: oggi le terre non vengono più difese o contese, ma semplicemente abbandonate. I giovani partono, interi paesi grecanici si svuotano. Roghudi, Africo, Pentidattilo diventano simboli di un’Italia che smette di parlare a se stessa.

La Calabria grecanica del 2025 continua a pagare il prezzo di un’Italia duale, in cui le politiche pubbliche sono incapaci di affrontare i divari strutturali. Le infrastrutture promesse non arrivano, le scuole chiudono, i presidi sanitari si svuotano, la lingua grecanica rischia di spegnersi del tutto, se non fosse per qualche iniziativa ancora troppo isolata, e per la tenacia di pochi custodi della memoria.

Ad onor del vero molto sindaci dell’area grecanica si danno da fare, i borghi aspromontani stanno facendo passi avanti, anche grazie ai fondi del Pnrr, ma si tratta sempre di poca cosa se poi non ci sono occasioni di lavoro, se si emigra, e se da Roma non ci si dà da fare, economicamente e da un punto di vista repressivo, non dimentichiamo mai questo argomento, una scelta, la mia, di non farne il cuore della riflessione, ci pensano altri a questo argomento.

I sindaci di ultima generazione si danno da fare, non mancano le iniziative, manca un progetto complessivo, mancano gli investimenti a nove zeri per i quali temo sarebbe necessaria una cabina di regia lontana dalla Calabria.
Chi legge oggi I fatti di Casignana trova nella sobrietà dello stile e nella radicalità dello sguardo lo stesso impasto che ancora plasma la realtà calabrese di oggi: bellezza e ferocia, ingiustizia e orgoglio, nostalgia e lotta.

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Author: Nicola Priolo