Questo post é stato letto 4270 volte!
Pasolini, soprattutto nelle sue riflessioni sulla “mutazione antropologica”, riteneva che i popoli, soprattutto quelli del sud, avrebbero potuto cambiare il loro destino, se non fossero stati travolti da un progresso imposto e cieco.
Nel cuore di un’Italia che spesso dimentica le sue periferie, I fatti di Casignana di Mario La Cava si staglia come un romanzo capace di raccontare non solo una pagina dimenticata della storia calabrese, ma anche di rispecchiare con drammatica lucidità il presente del nostro Paese. Pubblicato nel 1974, scritto tra il 1970 e il 1973, il romanzo rappresenta il punto più alto della produzione dello scrittore di Bovalino. È un’opera che non racconta semplicemente il passato, ma lo interroga, lo rielabora e lo fa deflagrare nel presente.
Il paragone con Cristo si è fermato a Eboli è inevitabile, ma se Carlo Levi descrive un mondo arcaico e immobile, La Cava racconta un popolo che prova a sollevarsi, che tenta, pur se sconfitto, di incidere sulla storia. L’insuccesso non cancella la dignità del gesto, né la profondità della ferita. Come nei Racconti di Bovalino, la speranza resta, pur nella tragedia. La vita continua tra miseria e sogni, tra ingiustizie e legami familiari, tra colline spoglie e case che tornano ad animarsi.
Il suo meridionalismo non è un lamento né una retorica identitaria, il destino, sembra dirci La Cava, non è immutabile. Ma il cambiamento è possibile solo se ci sono le condizioni per perseguirlo. E allora la sua narrazione non è mai puramente tragica, ma contiene sempre un filo di speranza, un’apertura. Non l’ottimismo ingenuo, ma la consapevolezza lucida che ogni sconfitta lascia dietro di sé la possibilità di un riscatto. Basta che ci sia memoria. E ascolto.
Il sogno di una rigenerazione collettiva che attraversa il romanzo di La Cava appare oggi più fragile che mai. L’occupazione delle terre di allora può essere letta come una metafora potente per l’oggi: oggi le terre non vengono più difese o contese, ma semplicemente abbandonate. I giovani partono, interi paesi grecanici si svuotano. Roghudi, Africo, Pentidattilo diventano simboli di un’Italia che smette di parlare a se stessa.
La Calabria grecanica del 2025 continua a pagare il prezzo di un’Italia duale, in cui le politiche pubbliche sono incapaci di affrontare i divari strutturali. Le infrastrutture promesse non arrivano, le scuole chiudono, i presidi sanitari si svuotano, la lingua grecanica rischia di spegnersi del tutto, se non fosse per qualche iniziativa ancora troppo isolata, e per la tenacia di pochi custodi della memoria.
Ad onor del vero molto sindaci dell’area grecanica si danno da fare, i borghi aspromontani stanno facendo passi avanti, anche grazie ai fondi del Pnrr, ma si tratta sempre di poca cosa se poi non ci sono occasioni di lavoro, se si emigra, e se da Roma non ci si dà da fare, economicamente e da un punto di vista repressivo, non dimentichiamo mai questo argomento, una scelta, la mia, di non farne il cuore della riflessione, ci pensano altri a questo argomento.
Questo post é stato letto 4270 volte!


