Il caso dei pensionati delle grandi fabbriche del nord

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Nel dopoguerra migliaia di giovani meridionali varcarono la soglia delle fabbriche del nord Italia per cercare un futuro migliore. Lavoravano sodo, spesso in condizioni difficili, ma Torino, Milano e Genova offrivano lavoro stabile, stipendio sicuro, servizi e infrastrutture fino ad allora impensabili a casa loro. La Fiat non era solo un luogo di impiego: era il simbolo di un riscatto possibile, di una speranza concreta.

Lavoratori che nel frattempo si sono formati delle famiglie, hanno mandato i figli a scuola, hanno comprato casa con i mutui favorevoli di una volta. Poi anche per quei giovani ragazzi degli anni cinquanta, è arrivato il momento della pensione e della scelta di dove trascorrerla. Pochissimi son tornati al Sud.

Secondo i dati ISTAT e i risultati di alcune ricerche demografiche, soltanto una minima percentuale tra gli ex-operai meridionali ha optato per il ritorno al Sud dopo il pensionamento. Il motivo non sta solo negli anni passati o nella nostalgia svanita, ma nella naturale trasformazione personale.

Una vita trascorsa a Torino, Milano, Genova, lavoro, famiglia, figli, nipoti, tutto raccontava di queste loro nuove case.
Quale allora il senso di uno strappo alla fine della vita, per tornare in luoghi ormai sconosciuti? La risposta, per molti, una domanda: “perché tagliare un altro legame?”

La loro radice affettiva e culturale ormai era in Nord Italia.

Ritornare al Sud avrebbe significato dover rifare tutto: recintare relazioni, riabituarsi a servizi pubblici meno efficienti, ricostruire un ritmo quotidiano attraverso meridiani culturali – tempi, linguaggi, abitudini – spesso ormai estranei. E soprattutto separarsi da figli e nipoti.

Quei pochi che intanto avevano deciso di tornare dopo decine di anni trascorsi in realtà completamente diverse, avevano fatto fatica a riacclimatarsi. Carenza di strutture per anziani, cliniche costose, ancora oggi i viaggi della speranza partono da Reggio destinazione Milano e Lombardia, pochi ospedali, questi e altri problemi hanno costituito indubbiamente una barriera oggettiva al rientro nei luoghi di origine.

Cosi la maggior parte dei pensionati delle grandi fabbriche del nord  ha preferito restare dov’era, al punto da farci pensare che il cuore di chi ha costruito la propria esistenza lontano dal luogo natio, dopo tanti anni ha già trovato un’altra patria, e che in tanti casi l’idea di ritornare sia solo un’utopia o un dovere sentimentale, non una reale aspirazione.

Perché il viaggio nord-sud in realtà non è un ritorno a casa, sarebbe in tutto e per tutto un’avventura del tutto nuova in un luogo sconosciuto.

Cosi la stragrande maggioranza dei pensionati delle grandi fabbriche del nord ha deciso di restare, dove aveva vissuto e lavorato per decine di anni. Scelta che racconta un fenomeno tanto umano quanto sorprendente: l’emigrazione non sempre finisce con la pensione, e il ritorno spesso resta una favola.

Come dargli torto, sentire che un paese ti fa sentire a casa, anche se non è la tua terra, è la più grande testimonianza del miracolo dell’emigrazione e dell’integrazione.

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Author: Nicola Priolo