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Grotte di Tremusa, nuovo episodio di Esplorando dietro Casa
Percorrere il breve tragitto che porta da Reggio Calabria alle Grotte di Tremusa è gratificante almeno quanto la meta da raggiungere.
Abbiamo scelto di percorrere l’Autostrada A2 per poi imboccare l’uscita per Scilla e dirigerci verso la frazione Melia.
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Un tragitto di circa 30 km in tutto. Dal finestrino del nostro veicolo abbiamo visto aprirsi alcuni scorci paesaggistici davvero mozzafiato.
Questi sono offerti dall’estrema varietà morfologica della Calabria e dal connubio mai banale fra mare e terra.
La Costa Viola, che spettacolo!
Dinanzi ai nostri occhi abbiamo visto dispiegarsi i litorali a picco sul mare della Costa Viola.
Abbiamo visto le abitazioni di Bagnara che disegnavano un colorato cuneo rivolto verso l’entroterra e Scilla schiacciata fra la costa e i primi rilievi.
Il fiabesco Castello Ruffo è stato messo in risalto dal mare crespo che creava uno scenario d’eccezione.
Inoltrandoci verso l’interno abbiamo apprezzato gli stessi attori ritratti da altre prospettive, come un buon film che ad ogni visione restituisce un particolare mai colto prima.
Proseguendo ancora il cono di visibiltà si è allargato e abbiamo visto spuntare la punta della Sicilia e in particolare il pilone e il lago di Ganzirri.
Arrivati a Melìa…
Abbiamo seguito la cartellonistica fino a imboccare una strada stretta e in discesa che abbiamo deciso di affrontare a piedi nonostante fosse percorribile anche in macchina.
Dopo aver attraversato i terrazzamenti e le colture di ulivi che caratterizzano questa zona abbiamo intravisto il pannello che sanciva il nostro arrivo a destinazione. Dinanzi a noi si trovavano le grotte di Tremusa.
Le Grotte di Tremusa
Le Grotte sono state esplorate per la prima volta nel 1984 dal Gruppo Speleologico Bolognese del CAI e dell’Unione Speleologica Bolognese come ben ricordato dalla pannellistica.
Si compongono di due ambienti a se stanti: il cosiddetto vano di sinistra e il vano di destra.
La morfologia del luogo ricorda quella delle grotte della Lamia presentate nelle pagine di questa rubrica pochi mesi fa.
Anche qui si trovano le stalattiti a forma di tozze colonne che caratterizzano sia l’esterno della cavità che l’interno, rendendo il percorso simile a un labirinto.
Un’altra similitudine è riscontrabile nelle sporgenze e nelle concavità generate dal lento lavorio dell’acqua nella tenera arenaria.
Le patine biancastre formate dal carbonato di calcio.
Le conchiglie fossili incastonate nella volta delle grotte, talvolta isolate e talvolta disposte in accumuli caotici.
Le acque di percolazione che descrivevano dei suggestivi giochi acquatici.
Proprio la presenza dell’elemento acquatico insieme alla toponomastica e alla tradizione orale suggerisce affascinanti ipotesi sul ruolo che questo luogo ha avuto in passato.
Difficile non pensare che il toponimo Tremusa non abbia relazione con le “tre muse” e dunque con le “tre ninfe” che hanno sempre animato i paesaggi rupestri con il loro alone mistico e misterioso.
Secondo il mito
Le ninfe, secondo il mito, abitavano le grotte. Anche in Calabria ci sono attestazioni preziose di questa presenza com’è dimostrato nelle numerose “grotte delle Ninfe” che si trovano a Locri.
Dentro le grotte le ninfe accoglievano, a suon di musica e a passo di danza, le giovani donne che venivano a celebrare l’ultima notte da vergini prima del matrimonio.
Le grotte di Tremusa ricordano molto gli antri delle Ninfe e la corrispondenza con alcuni modellini di grotta che sono stati rinvenuti a Locri è impressionante.
È possibile riscontrare la medesima articolazione spaziale che dall’ampio portale naturale introduceva a spazi più segreti, più intimi, più nascosti, nell’intrico di dedali a colonne che il lavorio dell’acqua ha modellato attraverso i secoli e i millenni.
La tradizione orale ricorda, per le grotte di Tremusa, elementi strutturali ricavati nel banco naturale come rozzi gradini, sedili abbozzati e incavi simulanti nicchie.
Memore di queste suggestione, l’occhio del visitatore si sforza di scorgere le tracce di un passato remoto per provare a svelare l’arcano obliato fra le pieghe del tempo.
Sia che abbiano avuto una valenza cultuale, sia che abbiano ospitato solo le tracce geologiche di ere antichissime ben raccontate dalle volte punteggiate di Pecten Latissimus, le grotte di Tremusa conservano un fascino misterioso.
Raccontato dalla tela del ragno che tesse indisturbato, dal cadenzato stillicidio delle acque percolanti, dalla vegetazione che lenta tenta di celare il suo prezioso tesoro.
Articolo a cura di Giovanni Speranza
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