CALABRIA GRECANICA: Il caffè è accoglienza, il dolce è riconoscenza (II parte)

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Il caffè che ti viene offerto, gesto di cortesia che mi rimanda la mente ad un’altra tradizione, magari dimenticata dai giovani di oggi, non so come essi si comportino, quella di portare il dolce quando si è invitati a pranzo, una gentilezza ma anche gesto rituale, segno di rispetto, di riconoscenza, di appartenenza. Un linguaggio verbale che dice: Grazie per avermi accolto, condivido con voi qualcosa di buono. E se il dolce è fatto in casa allora il gesto si carica di sentimenti, memoria, tradizione e affetto.
Questa usanza affonda le radici in una cultura contadina e comunitaria, dove il cibo è sempre stato il centro della relazione. In un territorio dove l’ospitalità è sacra, portare le paste o i dolci significa ricambiare l’invito con qualcosa di concreto, tangibile, che possa essere condiviso a fine pasto, magari con il caffè!

Arrivare “a mani vuote” può essere letto come disattenzione o superficialità, anche se non c’è malizia. Per questo, anche chi non ha tempo di cucinare, non si dimentica di passare in pasticceria.
Io ho quasi sessant’anni, questa tradizione è ben radicata nei miei ricordi “grecanici”. Tant’è che solo qualche mese fa, invitata una coppia di amici reggini a cena da noi, a Lazzaro, con mia moglie si parlava di cosa preparare da mangiare. Le feci presente che i nostri amici sarebbero arrivati sicuramente con un dolce, a quello non dovevamo pensare noi. E cosi è stato.

Una torta acquistata in una nota pasticceria, il nome una certezza, per onorare l’invito, per mostrare gratitudine. In fondo, portare un dolce non è solo portare zucchero e farina. È portare tempo, cura, memoria. È dire: Sono felice di essere qui, e voglio che questo momento sia bello, dolce, per tutti.

È una regola non scritta, ma tramandata, il dolce non chiude solo il pasto, chiude una sequenza di valori, complicità affettive che iniziano ancor prima di sedersi a tavola. Se il caffè è il primo atto della comunione domestica, il dolce è il suo compimento.
L’abitudine di ringraziare con un dono chi ti invita a pranzo è prassi dappertutto, ognuno con le sue tradizioni, importante conoscerle per non fare brutta figura. Anche l’abitudine di portare un dolce se invitati non è un unicum mondiale, ma è qualcosa di diverso quando diventa parte viva dell’incontro, presentato agli ospiti su un bel piatto, accompagnato da una tazzina di caffè o magari con un buon amaro grecanico. Se io porto delle praline agli amici belgi, ad ognuno il suo, verrò ringraziato del gesto, ma il menù non cambierà. Mangeremo quello che hanno già preparato. Abitudini. Tradizioni.

Legando il Belgio alla Calabria grecanica, vox populi, un racconto orale narra di una giovane che, emigrata in Belgio, ritorna per Ferragosto a Roghudi con la torta che ha imparato a fare a Brussel.
La porta a pranzo e tutti, inizialmente scettici, si sciolgono al primo morso. “È diversa, ma è fatta con amore, promossa. E così la torta straniera diventa simbolo di ritorno, di fusione tra mondi, di legame che resiste. La regola non è nella ricetta, ma nel pensiero: il dolce deve essere portato con sentimento. Non serve che sia perfetto, costoso, elaborato. Serve che racconti qualcosa. Ecco perché non si va a pranzo senza dolci. Perché quel gesto, semplice, quotidiano, ha il potere di fare casa, comunità, futuro.

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Author: Nicola Priolo