La Lingua Greca di Calabria, l’Orgoglio delle (nostre) antiche radici! Parte seconda

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Ma, parallelamente al crescente interesse degli studiosi per la lingua greco-calabra, si imponeva, specie  dalla fase immediatamente successiva alla Unità d’Italia, la necessità di imparare la lingua italiana e di adoperarla non più soltanto per iscritto; presso le classi colte e quelle borghesi, l’esclusione  dagli usi familiari delle varietà dialettali veniva concepito come un passo necessario per il buon apprendimento della “lingua della Nazione”.
Lo stesso dovette avvenire nella attuale “ Isola Ellenòfona”, rispetto, non tanto al dialetto romanzo ma al greco, la varietà più stigmatizzata e percepita lontana dall’ italiano, il cui utilizzo-anche in famiglia- avrebbe solo avuto l’effetto di “inficiare” una adeguata competenza della lingua nazionale. La scolarizzazione obbligatoria, faceva subire alle masse contadine monolingui( parlanti il greco) dell’area, quotidiane umiliazioni e severe punizioni derivanti soprattutto dall’alloglossia più che dall’analfabetismo.
Per cui, ben presto, la “dicotomia”: proletariato grecofono analfabeta/borghesia italofona alfabetizzata, scatena il “meccanismo” della discriminazione e della “tabuizzazione” del greco… All’opera di “demolizione” della lingua greca, pertanto, non sono estranee cause di natura psicologica, in quanto, viene  “pilotato” dall’alto il concetto che tutto ciò che non è cultura nazionale in lingua, è sottocultura, “avanzo ancestrale”…concetto,  che viene interiorizzato  dai “grecofoni” che ormai “percepiscono” il loro idioma e la loro( quantunque, plurimillenaria) cultura, come espressioni  di inferiorità di razza e di civiltà (!)…di cui bisogna “liberarsi” cercando altre identità…( “Sic transit gloria mundi”, mi verrebbe da dire…).
Inoltre,   le comunità dell’Area  Grecanica ( e non solo), vengono  “investite” da un saldo migratorio rilevante,  che diventa critico,  a ridosso degli anni ’50, ’60 e ’70, derivante, soprattutto, dallo svuotamento delle aree collinari e montane, in cui, tradizionalmente, erano insediate le popolazioni ellenofone.( Come se, in un certo senso, la scoperta di un mondo “nuovo”( Italia, Europa, Americhe, ecc.), diventa, contemporaneamente, la quasi fine di questo “vecchio” mondo, quello dei Greci di Calabria.
A ciò, si aggiungono le alluvioni che si succedono negli anni ’50 e ’70 nell’enclave greca  e che compromettono la sopravvivenza “materiale” delle comunità nell’entroterra  pre-aspromontano, con “l’ineludibile effetto” di giungere all’impoverimento, alla “deplezione” della memoria, il cui “trend negativo”, rischia di cancellare completamente tradizioni e lingua…A tal proposito, il linguista olandese DImmendaal, sottolinea quanto sia,  di vitale importanza per la lingua, rimanere “in situ”, sostenendo che, “i cambiamenti nell’assetto economico e sociale delle comunità alloglotte, possono non essere decisivi nella “sostituzione linguistica”, se la popolazione o una parte di essa rimane “in situ”( L’esempio di Bova-Chòra, nello specifico,  è assolutamente  “probatorio”).
Secondo un’indagine effettuata sul campo, alla fine degli anni ’90, in seno alla quale vennero interessati circa 300 studenti delle scuole medie ed elementari della Bovesìa,  è emerso che il “greco di Calabria”, viene considerato “lingua dei vecchi” e non “intriga” le giovani generazioni che, in generale,  non lo parlano pur  comprendendolo passivamente per un 15% circa. La risposta, però, quasi plebiscitaria dei ragazzi all’item:”ti dispiace che il greco di Calabria stia scomparendo?”( con…  l’88% di risposte affermative), deve essere “tesaurizzata”da chi ha a cuore le sorti di un patrimonio così importante da rappresentare un bene immateriale unico…

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Author: Cristina

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