A ‘chiappareddha

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Di Marina Crisafi su Calabria Ora

Figli di un’era avara che dispensa internet, playstation e videogiochi in abbondanza, togliendo sempre più spazio al tempo libero “non organizzato” e al divertimento all’aperto, i bambini di oggi si ritrovano, spesso, rintanati in casa, di fronte allo schermo della tv, ai monitor di computer e consolle, oppure, oppure scarrozzati continuamente tra piscina, corsi di musica, di inglese e circondati da divieti condominiali e mancanza di spazi aperti.

Così, i giochi di un tempo, neanche troppo lontano, della c.d. “civiltà del cortile”, quando si aspettava con ansia l’uscita da scuola, finendo in fretta i compiti nelle prime ore pomeridiane, per riunirsi con gli amici e scorrazzare in libertà, tra i cortili, i giardini e le piazze, dando via libera alla creatività e alla fantasia, correndo a perdifiato, costruendo fionde, carretti e veri e propri pezzi di ingegneria, sino a che le mamme alle finestre richiamavano tutti a casa, appartengono ormai al mondo dei ricordi.

Gioco principe dei bambini di tutti i tempi ed anche dei reggini, almeno sino alla metà degli anni ’80, era “l’acchiapparedda”, a volte, detto anche “fulmine”.

Il numero dei partecipanti era illimitato. Il gruppo si metteva in cerchio per la partenza obbligatoria: il “tocco”, ovvero, la conta per stabilire il turno di gioco per ogni bambino. I criteri erano diversi. Spesso si contava con le dita. Tutti i bambini contemporaneamente puntavano quante dita volevano, si contavano quelle puntate e si stabiliva di partire da un determinato bambino.

A volte, la conta si faceva con le canzoncine. Tutti i partecipanti venivano toccati al ritmo di un preciso ritornello, fino a quando, la fine della canzone, designava il prescelto. Chi usciva dal tocco, faceva la “morte”. E allora tutti erano preparati. Pronti, partenza, via. E si iniziava a correre a perdifiato, mentre la morte doveva prendere tutti. uno alla volta. Chi veniva “acchiappato” doveva fermarsi sul posto aspettando che qualcuno lo liberasse, o la fine del gioco. Quando tutti erano stati presi si ricominciava daccapo. Chi era stato toccato per primo, a sua volta, doveva acchiappare gli altri e il gioco continuava sempre così, sino al calar del sole. Poi, tutti a casa, stanchi e sudati, ma felici.

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Author: Cristina

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