Il PRC reggino in merito all’indagine sui rimborsi ai gruppi regionali

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La fuga di notizie che il 4 aprile scorso ha svelato l’allegra gestione dei fondi riservati ai rimborsi spese dei gruppi consiliari, ha inevitabilmente sollevato un’ondata d’indignazione tra lavoratori e giovani, che a gran voce reclamano le dimissioni dei responsabili. Tuttavia, come partito della Rifondazione Comunista non possiamo fare a meno di segnalare che questa non è che la manifestazione più palese di un sistema ormai consunto e logoro. Un sistema di cui tutti – non solo i dieci consiglieri indagati, i cui nomi è ora che vengano resi pubblici – sono responsabili.

Come è possibile – ci si chiede – che nei conti di questo o quel gruppo venissero rendicontate spese variabili di utilità chiaramente private, dai gratta&vinci ai detersivi ai versamenti per le proprie tasse, senza che nessuno se ne accorgesse? Perché solo dopo lo scandalo Fiorito in Lazio, il consiglio regionale ha sentito la necessità di adottare una nuova legge che obbliga alla giustificazione e certificazione delle spese? Se fossero confermate le indiscrezioni che parlano di un ammanco variabile da 500mila a 1 milione di euro nei conti dei gruppi, ad assumersi la diretta responsabilità della cosa, deve essere l’intera classe dirigente e non solo i consiglieri regionali coinvolti. È per questo che Rifondazione comunista pretende le dimissioni dell’intero consiglio regionale.

In una Calabria schiacciata dalla disoccupazione e da una povertà sempre più dilagante, grida vendetta che una ristretta elite possa disporre indifferentemente e senza alcun obbligo di giustificazione di centinaia di migliaia di euro, destinati ai gruppi per scopi pubblici ma utilizzati al contrario per consolidare posizioni di potere privato. Condotte in linea con le politiche portate avanti dal governo Berlusconi prima e da quello di Monti poi, che hanno scaricato solo sulle spalle di lavoratori e giovani il prezzo della crisi verticale che le economie occidentali stanno attraversando. Un conto che al Sud è ancora più salato. Le centinaia di vertenze aperte in regione lo dimostrano: dalla sanità alle infrastrutture, dal terzo settore alla gestione delle risorse, tutto in Calabria è emergenza. Ed è a queste emergenze che devono essere destinate le risorse pubbliche.

Una risposta che non potrà mai venire da una classe dirigente figlia del privilegio, che solo ai privilegiati si rivolge e i cui soli interessi cura. Ma perché lavoratori e giovani possano avere una rappresentanza dignitosa, non basta agitare il demagogico slogan del “taglio dei costi della politica”, che per Pd e Pdl è stato, di fatto, l’alibi per colpire indiscriminatamente le condizioni di lavoro dei dipendenti pubblici, dunque i servizi resi ai cittadini. Tanto meno è sufficiente agitare l’altrettanto demagogica parola d’ordine della “cancellazione del finanziamento pubblico ai partiti” tanto cara ai Grillini, perché – contrariamente a quanto affermano – non farebbe che consolidare posizioni di privilegio: ad avere la possibilità di fare politica sarebbe solo chi può permetterselo o chi ha alle spalle finanziatori che gli permettono di farlo.

Il vero problema non sta nelle risorse destinate all’attività politica, ma nell’uso indiscriminato di esse. Corruzione e malversazioni non si estingueranno tagliando i finanziamenti ai partiti, ma al contrario concentreranno il potere nelle mani di una ristretta elite. Solo quando la politica smetterà di essere fonte di privilegio e si metterà realmente al servizio e nelle pari condizioni di lavoratori e giovani, potrà rispondere adeguatamente alle loro esigenze.

Per quale motivo i rappresentanti dei cittadini devono avere accesso a retribuzioni d’oro – non solo vitalizi – nel momento in cui decenni di controriforme del mercato del lavoro assicurano al lavoratore medio un salario che spesso non permette neanche la mera sussistenza? Perché un consigliere – regionale, provinciale o comunale che sia – non può essere retribuito come un qualsiasi impiegato che lavora nei medesimi palazzi istituzionali? Il partito della rifondazione comunista già dal 2006 aveva approvato all’interno dello statuto una norma che prevedeva che tutti gli eletti nelle istituzioni avessero retribuzioni pari al max 2000€ il resto veniva dato al partito e ad associazioni per incoraggiare il dibattito la ricerca e l’attività politica, chi è stato eletto e non ha accettato queste norme è andato via dal partito.
Solo quando la politica smetterà di essere un’utile scorciatoia per vite di privilegio e retribuzioni ingiustificabili, le piaghe di malaffare e corruzione potranno essere arginate, per questo Rifondazione Comunista chiede:
– Dimissioni immediate dell’intero consiglio regionale
– Adeguamento della retribuzione dei consiglieri a quella dei dipendenti pubblici
– Cancellazione di esenzioni, bonus e rimborsi aggiuntivi e obbligo della rendicontazione totale e pubblica delle spese dei gruppi.

Partito della Rifondazione Comunista

Reggio Calabria

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Author: Cristina

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