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Riceviamo e pubblichiamo, la lettera in memoria del Professor Mario Casaburi, inviataci da Fausto Bisantis.
“Caro professore:
E’ da un po che non ci sentivamo! Sono o siamo arrivati troppo tardi a questa rimpatriata e me ne rammarico molto, però ho pensato di scriverti, in memoria della grande pazienza che hai nell’ascoltare.
Spero non ti dispiaccia se ti do del tu, ma non mi pare che fossi particolarmente interessato a tali formalismi convenzionali, specie quando intuisci nell’animo dell’interlocutore, una sinergica “intellighentia”, utile a introdurre un foro di conversazione tra menti uguali, un po come avveniva nelle agorà dell’antica Grecia.
Non sono un tipo da epitaffio, questo lo sai, perciò non ti parlerò delle tue virtù, credo che tu ti conosca abbastanza, ma in questi ultimi due giorni ho ricordato le tante cose che ci siamo detti negli anni: i consigli più formali del rapporto tra alunno e maestri e le discussioni profonde, ma semplici durante il rapporto tra intellettuale e ragazzo affamato di sapere. Non relegando la sfera dei ricordi ai momenti d’incontro, quando tornavo a casa per le vacanze, penso a quanto è stato utile conoscerti. Molti mi direbbero: “Certo ti ha salvato in extremis dalla bocciatura più volte……”, perché anche io sono cresciuto secondo il consueto rituale dell’opposizione alla scuola “senza se e senza ma..”, per poi scoprire qualche anno dopo, che in realtà ogni ragazzo ha tra le mani qualcosa di stupendo; frequentare un luogo dove imparare, ma anche conoscere gente, divertirsi e confrontarsi con un piccolo pezzo di mondo.
Ci ha pensato sempre la narrativa sociale del XX secolo; noi siamo cresciuti con Pierino e non con le “Favole al telefono” di Gianni Rodari, tanto vale ammetterlo. Però sai bene meglio di me, che nella scuola dove tu hai vissuto, parte della responsabilità è anche di coloro che non coinvolgono il bambino attraverso l’amore per il sapere. Ciò che mi ha sempre colpito di te era questo; Sei sempre stato diverso! Hai sempre messo la cultura al primo posto sull’educazione e lo hai fatto con molto stile, ma anche con molta semplicità, mantenendo quello spirito popolare napoletano, ironico e grottesco, mai fuori luogo. Certo hai sempre avuto molta discrezione nel tuo lavoro e nel rapporto professionale tra alunno e insegnante, però quanto meno i condannati alla mediocrità come il sottoscritto, sono riusciti a prendere il coraggio di alzare la testa dalla paziente energia , grazie a saggi come te. Ma questo perché al mondo chiunque ama la cultura è già illuminato e la sua voce si stende come un eco in mezzo all’oceano.
Ora sono cresciuto e a volte mi sento già vecchio e stanco, ma riconosco che mi sei stato molto d’aiuto; non nel trovare la mia strada, ma nell’avere il coraggio di attraversarla. Non mi è servita nessuna parola di incoraggiamento a fare questo, perché ho imparato a fidarmi del destino e tu non mi hai mai giudicato per questo e te ne sono grato. La forza che ho avuto dal tuo insegnamento è stata determinata da una passione per la conoscenza, che racchiude in sé la curiosità verso ciò che è nuovo e ignoto. Ora che sono un musicista, perché ho deciso che questa doveva essere la mia vita, affronto gli ostacoli che la vita mi riserva, ma sono anche un giornalista, un uomo di penna e intuito e a volte mi appassiona farlo, ma credo di esserci riuscito, grazie a quelli come te (pochissimi a dire il vero), che non mi hanno mai risposto; “vabbè ma come lavoro che pensi di fare?”
Io credo che la sottile linea d’ombra che separa l’essere socialmente utile da una mente libera, possa sparire sotto l’impulso di una o più guide che semplicemente abbiano il coraggio di osare, affamarsi ed essere folli, come diceva Steve Jobs, ma anche di aprire gli occhi al contatto con l’anima: quella che ti mostra la legge morale dentro e il cielo stellato sopra di noi, parafrasando Kant, ma anche quella che, a costo di far del male, ti spinge a soffermarti sul nome che dai alle cose; sulla stupidità del difendere concetti come aggregazione (viene da gregge e credo che saresti d’accordo sul nonsense di questo modus vivendi!), Stato che rappresenta qualcosa di mobile, fermo e inadatto al cambiamento, ma anche sulla reale natura del mondo; che è fatto di arte e sapere.
Potrei spingermi fino al parossistico, ma non voglio tediare né te, né chi leggera queste minime morali, ma era giusto che te le dicessi, prima di lasciare i miei pensieri alle foglie d’autunno che, al primo levante prenderanno quota dal suolo per lasciare brandelli di speranza qua e la nel cielo e nei vari emisferi dove la nostra anima ha ricominciato a battere di nuova essenza.
E’ stato un piacere conoscerti e fa buon viaggio!”
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