Presentata l’ultima opera di Gervasi

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Avere accanto Giuseppe Gervasi è sempre un incontro nel vero senso della parola. È un nostos all’insegna dell’amicizia e della solidarietà. Non ho modo, né parole per poterlo ringraziare della sua gradita presenza nel paese di Palizzi, territorio cui sono legato da motivi affettivi, storici, culturali, ideologici.

Mi ritrovo nelle sue parole di infaticabile navigatore del sogno, romantico e nostalgico avventuriero di ricordi celati nel prezioso scrigno dei paesi calabresi. Mi rivedo nella sua prosa carezzevole, nel suo silenzio ieratico, nell’umano ascoltare e nel garbo dei suoi gesti. Giuseppe Gervasi non racconta, sogna, ascolta e ”ci parla” così come intendeva Saverio Strati. Entrambi abbiamo imparato, nel corso del tempo, che la gente di Calabria prima vuole essere ascoltata e poi vuole essere ”parlata”. E Gervasi li parla toccando con umanità sensibile la modestia delle cose, descrivendo i volti scolpiti in un componimento di parole che rifiuta e abbiura le res derelictae. Egli è in piena sincerità tra le migliori penne che parlano il senso dei luoghi e completano la restanza. Un concetto, quello di restanza che non può e non deve rimanere solo un concetto antropologico, perché, inevitabilmente questa idea è costretta a trasformarsi in volti poliedrici di stampo giuridico, storico, sociale, politico e letterario.

Leggo Gervasi e penso che, forse, domani avremo un diritto naturale dell’uomo alla restanza riconosciuto nella libertà dell’individuo e concepito come diritto naturale dei popoli. Un diritto alla memoria storica della gente comune che la storia la fa, la vive, la muove e traghetta con fatica. Una storia che rifiuta l’oblio e che nessuno scrive, che resta nascosta nei racconti orali e nei cassetti, nelle
poesie tramandate e che nessuno scrive. Ma la gente, i popoli, non siamo altro che noi.

di Domenico Principato

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Author: Ntacalabria Redazione J