Auguri dalle Guardie D’Onore in ricordo al Re Vittorio Emanuele II

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L’ISTITUTO NAZIONALE PER LA GUARDIA D’ONORE ALLE REALI TOMBE DEL PANTHEON (DELEGAZIONE DI REGGIO CALABRIA) Istituto Combattentistico fondato il 18 gennaio 1878, Ente Morale, posto sotto la vigilanza del Ministero della Difesa (D.P.R. del 27 febbraio 1990, pubblicato nella G.U. n° 134 dell’11 giugno 1990) 163 anni e non li dimostra: BUON COMPLEANNO ITALIA!

Con Legge 17 marzo 1861 n. 4671 del Regno di Sardegna, pubblicata nella Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia n. 67, ebbe luogo la proclamazione ufficiale del Regno d’Italia e con le seguenti parole, che costituiscono parte del testo della legge, stessa, venne partecipata e resa pubblica a tutti i cittadini del Regno: “Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia. Il 21 aprile 1861 quella legge divenne la prima del neocostituito Regno d’Italia. In seguito a ciò, noi Guardie d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon non potevamo esimerci dal ricordare il compleanno della nostra Patria. Patria costata tantissimi sacrifici, distruzione, dolore, sangue, affinché potessimo vivere in quei confini geografici della Nazione –intesa come comunità di individui che condivide storia, lingua, cultura e religione- con quelli dello Stato – inteso come entità che esercita la propria sovranità su di una comunità di individui all’interno di un territorio attraverso un ordinamento giuridico formato da istituzioni e norme giuridiche. Aspetti, questi e caratteristiche che sin dagli albori della nostra storia, hanno decretato che quei confini geografici venissero chiamati: ITALIA.

Un Italia in cui tutti i suoi cittadini potessero esercitare le loro arti, i loro mestieri, le loro professioni sotto l’egida della concordia, nell’unità e nella libertà garantite dal menzionato ordinamento.

Mi vengono in mente, a tal proposito, i brocardi scolpiti nei due propilei del maestoso monumento del Vittoriano di Roma (Altare della Patria), edificato ad imperituro ricordo di S.M. Re Vittorio Emanuele II di Savoia, sotto il cui regno sì compirono i destini dell’unità d’Italia e che racchiudono il senso e la dimensione di questo pensiero che stiamo cercando di condividere con voi: “PATRIAE UNITATI”………..”CIVIUM LIBERTATI”: “All’unità della Patria”, “Alla libertà dei cittadini”! ciascuna massima è posta quasi a commento delle due quadrighe sovrastanti i propilei, eseguite dagli scultori Carlo Fontana, l’una e Paolo Bartolini l’altra.

Nell’attuale periodo storico, però, il senso di queste parole sono solo dei concetti vuoti e privi di quella carica emotiva e quello slancio iniziali in cui furono concepiti ed attuati per essere donati gratuitamente a corredo del patrimonio universale di ogni individuo della nostra embrionale unità socio-politica. Di esse non rimane solo che un affievolito ricordo, riportato in qualche breve paginetta di storia appresa nei banchi di scuola dai nostri figli: e per quelli ancora più giovani di loro, addirittura, neanche riportato.

La cultura del nuovo che avanza ha travolto e travolge inesorabilmente motivi e personaggi di quel passato. Per quanto riguarda i personaggi altri non erano che uomini come me, come te, come voi. Nati nel più assoluto anonimato e sconosciuti gli uni agli altri, non col germe degli eroi, non guerrieri, combattenti con la voglia di farsi ammazzare per le strade o nei campi di battaglia. Ma soltanto uomini normali, con le loro debolezze, i loro limiti le loro ansie i loro quotidiani problemi legati alle circostanze sociali dell’epoca. Ma allora cosa li spinti a gettare le fondamenta per la costruzione di tutto il grandioso edificio di cui oggi celebriamo l’anniversario?? La risposta va ricercata nelle loro motivazioni: ossia in quei valori che ognuno sentiva dentro e che provenivano da un bisogno irrefrenabile di convivenza unitaria in cui tutti si riconoscevano. Ed ecco che nasce il nostro Risorgimento ovvero la lotta per l’unità d’Italia e la liberazione dallo straniero tiranno, immortalata nella poetica manzoniana di ispirazione civile e patriottica nella sua: “Marzo 1821” di cui mi permetto riportarne qualche strofa: O stranieri, nel proprio retaggio torna Italia e il suo suolo riprende; o stranieri, strappate le tende da una terra che madre non v’è. Non vedete che tutta si scote, dal Cenisio alla balza di Scilla?
Non sentite che infida vacilla sotto il peso de’ barbari piè? Parole che scuotevano le menti, infondevano ardimento, coraggio nell’azione comune.

Ecco quindi, che motivi e personaggi tornano sotto i nostri riflettori. Ma hanno bisogno di un collante, di un amalgama: da soli non bastano a fronteggiare le insidie, le invidie ed i predomini delle altre nazioni europee gelosi di vederne un altra che si rafforza e si ingrandisce alle loro porte. In altre parole, occorre un capo che li coordina -quelle forze- che li guidi nel labirinto delle pastoie burocratiche e diplomatiche interne ed estere. E questa guida unanimemente è stata riconosciuta e ben individuata nella volontà, nella personalità e nel carisma di quei condottieri della più antica e millenaria dinastia regnante fino ad allora, riuniti sotto l’effige di Casa Savoia ed in particolare sul Re di Sardegna e del Piemonte, S.M. Vittorio Emanuele II di Savoia cui la storiografia ha attribuito il meritato appellativo, indiscusso ed indiscutibile di Padre della Patria e primo Re d’Italia! Sotto il suo regno si è giunti ad una nuova coesione sociale che ha trasformato i numerosi piccoli staterelli e gran ducati in unico popolo sovrano ed indivisibile! Appagando così, il desiderio propugnato dal patriota simbolo del Risorgimento, che è Goffredo Mameli e che ripotò in versi nel suo Inno scritto l’8 settembre 1847, intitolandolo “Il canto degli Italiani” queste indelebili parole: Raccolgaci un’unica bandiera, una speme: di fonderci insieme già l’ora suonò.

Il testo fu musicato da Michele Novaro il 24 novembre dello stesso anno.

Esso, ancora oggi, da quel giorno, rappresenta, insieme al Tricolore, uno dei simboli dell’unità Nazionale. E Mameli diede il suo sangue alla Patria, sulle mura di Roma assediata dai Francesi, a soli 21 anni, nel 1849 in seguito a una ferita infetta che si procurò durante la difesa della Repubblica Romana ove fu ferito. Il nostro grande poeta Giosuè Carducci -primo italiano a ricevere il Premio Nobel per la letteratura il 12 settembre 1906- scrisse per lui questi bellissimi versi: Tu cadevi, o Mameli, Con la pupilla cerula fisa a gli aperti cieli Tra un inno e una battaglia cadevi; Il corso degli eventi ci conduce così al 3 novembre 1860 in cui in Piazza del Plebiscito, il presidente della Corte Suprema di Giustizia di Napoli, Vincenzo Niutta, proclamò il risultato del

plebiscito che sancì l’annessione del Regno di Napoli al Regno d’Italia pronunciando le seguenti parole: «Proclamo che il popolo delle province meridionali d’Italia vuole l’Italia una ed indivisibile con Vittorio Emanuele, Re costituzionale e suoi legittimi discendenti». Il 4 novembre fece lo stesso il presidente della Corte Suprema di Giustizia siciliana Pasquale Calvi. Le annessioni furono formalizzate con regi decreti 17 dicembre 1860, nn. 4498 («Le province napoletane fanno parte dello Stato Italiano») e 4499 («Le province siciliane fanno parte del Stato Italiano»).
In quella sede prevalse la caparbietà del Re, deposta sull’assoluta ed incrollabile fiducia nel soldato italiano, che impose agli alleati con fermezza che i nostri fanti avrebbero assolutamente tenuto il fronte arrestandosi sulla linea del Piave. SM il Re, non chiese aiuto, chiese soltanto fiducia. Disse infatti che fermare il nemico sul Piave, era un compito del popolo italiano. Riuscì anche a sdrammatizzare il momento citando un vecchio proverbio popolare che diceva “alla guerra si va con un bastone per darle ed un sacco per prenderle”.

Dopo quella storica seduta ad un anno esatto dalla disfatta vennero i fasti di Vittorio Veneto can la definitiva vittoria finale sull’avversario e la conquista come sopra detto di Trento e Trieste! Un ultima riflessione prima di chiudere queste note. Ritorniamo a quella coesione sociale di cui prima si faceva riferimento: siamo davvero un popolo unito? Una Patria coesa? All’indomani dell’unificazione politica del 1861, Massimo D’Azeglio pronunciò la famosa frase che: “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”.

Purtroppo, a distanza di tanto tempo per fare gli italiani probabilmente ancora devono passare alcuni anni. A prescindere da qualsiasi orientamento socio-politico o culturale, si avvertono da più parti differenze ed umori sopiti che generano malessere ed insoddisfazioni tra la popolazione che continua ad essere sostanzialmente un coacervo di popoli diversi e non solo per l’attaccamento a tradizioni o dialetti diversi tra loro, ma per uno scarso senso di vera unità. La quale sembra essere stata calata dall’alto e non già come un movimento popolare voluto dal popolo italiano di allora. Eppure abbiamo fatto passi da giganti per giungere, addirittura, ad entrare a far parte dell’unità Europea nella quale ci siamo integrati, sia pure con tutti i distinguo che esistono, ma ahinoi nella nostra storia rimangono ancora nella mente antichi rancori legati ad una sorta di campanilismo e di rivisitazioni più o meno storiche, più o meno circostanziate a favore dell’uno contro l’altro.

Di errori commessi c’è ne sono stati e pure parecchi, ma la cosa che più conta in questo atavico dualismo storico, economico, sociale e politico è sapere contestualizzare i fatti nel periodo vigente all’epoca in cui si svolsero secondo modalità e termini che le appartengono.

Comunque sia, abbiamo la fortuna di vivere in una Patria che il mondo intero ci invidia, per la sua bellezza artistica, paesaggistica, monumentale ed il cui popolo, ha dato. Natali ad innumerevoli eroi, santi, poeti, artisti, navigatori, trasmigratori.

1 Una nazione laboriosa: a volte, purtroppo messa in ginocchio dalla recrudescenza di fenomeni terroristico-mafiosi che l’hanno resa preda dei suoi detrattori per impadronirsi della sua anima. Pur essendo attenti ai cambiamenti della nostra era, noi Guardie d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon -custodi di quei valori antichi ma sempre attuali- crediamo che essi facciano parte del corredo genetico di uomo e di italiano, o come qualcuno li definisce, rappresentano l’aristocrazia dello spirito. Noi, sulle vestigia degli antichi padri, con orgoglio e fierezza amiamo la nostra Patria! E ci stringiamo ancora nella sua unica bandiera tricolore difronte la quale -con religioso rispetto- reverenti la salutiamo ponendoci sugli attenti! La bandiera,

dunque…….segnacolo dell’unico Stato….(cito il Carducci in occasione del suo discorso pronunciato il 7 Gennaio 1897 a Reggio Emilia per celebrare il I centenario della nascita del Tricolore); come legame che nell’immaginario ci unisce al sacrificio dei nostri eroi dei nostri martiri che persero la vita per il trionfo della legalità e del diritto interno ed internazionale (vedi missioni di pace all’estero); come voce che li ringrazia chiamandoli per nome, uno ad uno per renderli immortali e non seppellirli una seconda volta, ma nella polvere! Talmente grande, inviolabile ed ammantata di sacralità, la Bandiera, da essere tutelata dall’ordine precostituito che vieta a chiunque di oltraggiarla.

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Author: Redazione Notizie