Michele Lanzo sulla messa in liquidazione della Sorical

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Non fa piacere leggere certe notizie, come quella della messa in liquidazione di Sorical, la più grande società calabrese chiude per ora i battenti. In un laconico comunicato, affidato al suo Presidente Sergio Abramo, Veolia informa di aver deciso di uscire formalmente dalla compagine societaria e quindi non rimane che la messa in liquidazione della Società.

Eppure era nata in condizioni assai favorevoli per il partner privato, quando L’Amministrazione regionale, presieduta da Chiaravalloti individuò, appunto, in Veolia l’azienda capace di gestire un settore strategico per la nostra regione. Per rendere appetibile l’ingresso di un socio privato, la Regione pensò di scorporare il cosiddetto “ciclo delle acque” stabilito dalla legge Galli.

La legge dettava disposizioni   in materia di risorse idriche, in cui viene descritto all’articolo 4 come “costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue”, affidando tale servizio agli Ambiti Territoriali Ottimali, i famigerati ATO.

In buona sostanza il ramo d’azienda più remunerativo fu affidato ad una Società pubblico-privata la Sorical, mentre il resto del ciclo, quello meno remunerativo per capirci, restò nelle mani degli enti pubblici. Non fu una scelta da poco quella della Regione, infatti lo spirito della legge era quello di affidare ad un unico soggetto l’intero ciclo, non solo per compensare i due settori, uno più remunerativo e l’altro meno, ma per armonizzare un’attività di vitale importanza per tutte le popolazioni. Nella valutazione del servizio, furono tenuti fuori gli impianti, le reti già funzionanti e le attrezzature  che dovevano costituire il valore industriale che il socio pubblico conferiva alla nascente azienda.

Questa scelta alla lunga mostrò tutta la sua debolezza. Da una parte una miriade di depuratori, sparsi in maniera scellerata in tutto il territorio regionale, gestiti dai comuni poco propensi a far pagare i relativi costi ai propri concittadini. Tali impianti, spesso sottodimensionati, senza manutenzione e senza risorse economiche adeguate, puntualmente in estate collassano riversando nei fiumi o direttamente nei mari tonnellate di liquami, che galleggiando sotto gli occhi dei tanti turisti, provocano in loro stupore ed indignazione, del resto erano venuti sulle nostre coste unicamente per godere le bellezze della nostra natura.

Si potrebbero fare tanti esempi, ma per non offendere nessuno è meglio non scrivere. Dall’altra i Comuni hanno fatto di tutto per non corrispondere i canoni del servizio idrico, scaricando su Sorical le loro responsabilità. Allacciamenti abusivi e non autorizzati; perdite nelle reti di distribuzione che, in alcuni casi, raggiungono il 50 percento della quantità di acqua distribuita; connivenze e scarsi o inesistenti controlli e la mancata lettura dei consumi hanno fatto il resto.

L’acqua è finita per divenire non un bene pubblico, ma una vacca da mungere. Ora la Regione non è ad un bivio, ma deve imboccare la strada maestra, quella indicata dalla legge Galli, individuare tramite una gara ad evidenza pubblica un partner privato di minoranza, in ossequio al recente referendum che, con il suo know how, predisponga un progetto industriale che, nel medio termine, ponga le premesse per risolvere un antico male che ha prodotto enormi danni, che solo un’oculata politica ambientale potrà tentare di risolvere.

E’ il caso di dire che basterebbe non inventarsi l’acqua calda, ma prendere come esempio le regioni più virtuose, magari coinvolgendole nel sistema di gestione, senza tralasciare gli enti minori, che vanno finalmente responsabilizzati. Fortunatamente in Calabria l’acqua è un bene che non scarseggia ed i costi di approvvigionamento e captazione sono veramente irrisori, rispetto ad altre regioni italiane, ristabilire i principi della legge Galli è solo una dimostrazione di buon senso che, sicuramente, darà i suoi buoni frutti.

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Author: Cristina

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