

Il Campanaro, un gioco rimasto nel nostro cuore
Un sasso, non troppo leggero e non troppo pesante, rigorosamente piatto e leggermente spesso. Un fazzoletto di spazio: pochi metri di selciato, di asfalto o, in mancanza di meglio, di terra battuta. Poi un gessetto, bianco o colorato. O, in alternativa, una pietra o un bastone di legno: qualunque cosa, purché lasci un segno sul suolo, così da poter tracciare caselle e percorso. Ecco qua i pochi, semplici e gratuiti ingredienti del Campanaro, il gioco di strada forse più famoso al mondo. Di sicuro quello con più nomi e più sfumature. Una sfida, una danza, una prova di abilità, un rito di società: un insieme di gesti e regole, linee e movimenti che in tutti, grandi e piccoli, evoca il piacere dell’estate, del tempo libero, dello svago fine a se stesso.
Un gioco che resiste al tempo: lo conoscevano gli antichi romani con il nome di «claudus», gioco dello zoppo proprio per la necessità di avanzare su una gamba sola, e un tracciato originale è stato trovato tra le pietre millenarie dei Fori. Ma lo conoscono anche i bambini di oggi, capaci ancora, una volta abbandonati per un attimo smartphone e tablet, di improvvisare una partita in un angolo di una piazza, in una via pedonale o su un marciapiede di paese.
La Campana è l’emblema dei giochi di strada, quello che forse meglio racchiude i valori insiti dei cosiddetti giochi tradizionali . Quel sasso, quel percorso e quelle regole tramandate con il passaparola sono un’occasione ludica capace di amplificare l’esistenza, la vita, le conoscenze e la dimensione affettiva. Non è un’autogratificazione individuale e solitaria: è un momento di condivisione, dove il gruppo è fondamentale perché è lo sguardo dell’altro che stimola a superare se stessi e a dare il meglio.
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