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La Storia di Berlino

Berlino è una città sempre nuova, in continuo cambiamento e in costante maturazione, è una città in cui, secondo le parole del filosofo Ernest Bloch, "nemmeno il cemento fa presa".
Allo stesso tempo Berlino è un luogo carico di responsabilità, dove si è decisa la storia della Germania e dell'Europa intera, è un luogo volutamente privo di un'identità precisa, sempre fluttuante tra provincialismo e smania di internazionalità.
Come nessun'altra città europea, Berlino è diventata in questo secolo un vero "mito", proprio cambiando così spesso nella storia la propria immagine: dalla metropoli degli anni '20 alla capitale mondiale della Germania di Hitler, dai cumuli di macerie del Reich a città di frontiera della guerra fredda, da centro delle contestazioni del '68 a Eldorado della sottocultura, dalla città divisa dal muro a un crogiolo di razze e di diversi modi di vivere. Non esiste un centro di Berlino, non esiste un quartiere uguale ad un altro né un berlinese tipo. Ci sono moltissimi spazi per la cultura e altrettanti per il divertimento, Berlino è una città che si può sfruttare 24 ore su 24, adatta per tutti i gusti e per tutte le tendenze, continua fonte d'ispirazione per gli artisti e di sogni per la gente comune. La città, però, è rimasta segnata del lungo periodo di divisione interna, ed ora molti cittadini, che hanno lottato per l’unità, non riescono a creare una popolazione compatta…
Storia Giugno 1948 - Il dittatore sovietico, bloccando strade e ferrovie, tenta di isolare il settore occidentale della capitale tedesca per sottrarlo agli alleati. Gli abitanti e i soldati restano senza rifornimenti vitali.
Ma l'organizzazione Usa aggira l'ostacolo aprendo una via in quota.
LA GUERRA FREDDA “Il blocco di Berlino fu la battaglia suprema della guerra fredda”. Oggi, a dieci anni dal crollo del blocco sovietico, questa espressione sui fatti accaduti tra il 1948 e il 1949 può sembrare venata di retorica, ma in quei giorni (e negli anni che immediatamente seguirono) fu chiaro ed evidente che, resistendo a Berlino, l'Occidente aveva segnato un primo importante passo verso il contenimento dell'espansionismo sovietico in Europa e, di conseguenza, nel mondo. Su quel mattone gli Stati Uniti, e la nascente NATO, costruirono un nuovo edificio strategico che si sarebbe rivelato fondamentale per la vittoria. Nel braccio di ferro che nacque dall'isolamento sovietico della città tedesca, gli Stati Uniti fecero quelle che possono essere definite le "prove generali" della guerra fredda. Tutti gli ostacoli che il governo americano dovette affrontare nei decenni a venire furono, in un certo senso, messi sul tavolo in quegli undici mesi - dal giugno 1948 al maggio 1949 - in cui il mondo sembrò avvicinarsi ad un nuovo conflitto. Nella crisi di Berlino, infatti, Mosca sfoggiò tutte le possibili armi di pressione - propagandistica, militare, politica - che gli Stati Uniti avrebbero imparato a conoscere in tutti i successivi momenti cruciali della guerra fredda. I primi clamorosi "niet" degli emissari moscoviti, come la manipolazione elettorale nel settore occupato dai sovietici, la mobilitazione dei comunisti occidentali e l'arruolamento degli intellettuali compiacenti nel "movimento per la pace", che si tentava di usare come quinta colonna all'interno del fronte occidentale, furono disinnescate. In più, il felice esito della crisi berlinese si rivelò un'eccezionale vittoria propagandistica per gli Occidentali, e un clamoroso fallimento per i sovietici. La crisi del blocco cambiò profondamente lo scenario internazionale. Washington, per la prima volta dai fatti di Hiroshima e Nagasaki, faceva balenare il proposito di ricorrere al proprio armamento nucleare nel cui campo - non va dimenticato - ai tempi deteneva l'assoluto monopolio. Gli Stati Uniti, infatti, non esitarono, per realizzare il ponte aereo su Berlino, a trasferire i propri bombardieri strategici in Gran Bretagna. La crisi di Berlino contribuì al passaggio da una fase "confusionaria" della guerra fredda - quella di un confronto improvvisato giorno per giorno, senza un chiaro disegno geo-strategico - ad una fase "matura", con obiettivi a lungo termine e strategie pianificate dai più alti livelli politici e militari. Non va dimenticata, infatti, la situazione storica del momento. Le alleanze e i rapporti di forza all'interno dell'alleanza che aveva sconfitto il nazismo stavano mutando radicalmente. Innanzi tutto, la posizione di Francia e Gran Bretagna andava indebolendosi: il governo britannico aveva fatto presente a quello americano che Londra non avrebbe potuto reggere la responsabilità di un coinvolgimento militare strategico imponente nel continente europeo. Nel febbraio 1947, l'ambasciatore inglese a Washington aveva inviato due note al dipartimento di stato in cui si comunicava l'impossibilità per Londra di continuare nei finanziamenti a Grecia e Turchia in funzione filo-occidentale. Per gli Stati Uniti si poneva quindi il grande dilemma che, periodicamente nella storia, li poneva di fronte alla decisione di impegnarsi in una politica mondiale o - al contrario - di ritirarsi in una sorta di "splendido isolamento". La sensazione che i rapporti all'interno dell'alleanza anti-nazista stessero cambiando, peraltro, erano cominciati qualche tempo prima. Nell'agosto 1946 il premier britannico Winston Churchill aveva pronunciato il celebre discorso della "cortina di ferro". "Una cortina di ferro - disse Churchill- è calata da Stettino a Trieste". Queste parole implicavano una constatazione e un progetto: la prima era che l'Europa andasse verso una divisione netta in due sfere di influenza; il secondo, invece, faceva comprendere come, a quel tempo, gli occidentali considerassero la Germania (ben di là della linea di demarcazione descritta da Churchill) un paese ancora recuperabile all'Occidente. L'alleanza della Seconda guerra mondiale si può considerare definitivamente conclusa, invece, con un altro celebre discorso, questa volta del presidente Truman. Il 12 marzo 1947 il presidente enunciò al Congresso quella che passerà alla storia come l'ufficializzazione della dottrina Truman. Un parte dell'Europa - quella finita sotto l'ombrello sovietico - aveva perso la libertà, gli Stati Uniti non potevano arretrare dal compito di contenere l'espansionismo di Mosca. Era la famosa "domino theory", la teoria del domino. Vale la pena riportare alcuni stralci di questo discorso, dal quale si può desumere buona parte del comportamento tenuto dagli U.S.A. nella successiva crisi del blocco di Berlino: "Sono pienamente consapevole delle ampie implicazioni che una decisione degli Stati Uniti di estendere la propria assistenza a Grecia e Turchia comporterebbe… I popoli di tutta una serie di paesi nel mondo hanno recentemente subito l'imposizione di regimi totalitari contro il proprio volere. Il governo degli Stati Uniti ha frequentemente protestato contro coercizioni ed intimidazioni avvenute, in violazione degli accordi di Yalta, in Polonia, Romania e Bulgaria [il colpo di stato in Cecoslovacchia avverrà nel 1948. Nella presente fase della storia mondiale quasi ogni nazione deve scegliere tra modi di vita alternativi. E tale scelta spesso non è libera. Uno di questi modi di vita è basato sulla volontà della maggioranza, ed è caratterizzato da libere istituzioni, da un governo rappresentativo, da libere elezioni, dalla garanzia delle libertà umane, dalla libertà di parola, di religione e libertà dall'oppressione politica. Il secondo modo di vita è basato sul volere di una minoranza imposto alla maggioranza. Questo fa affidamento sul terrore e l'oppressione, sul controllo imposto su radio e stampa, sulle lezioni guidate e sulla soppressione delle libertà personali. Ritengo che debba essere politica degli Stati Uniti sostenere i popoli liberi che stanno resistendo ai tentativi di sottomissione. Il collasso delle libere istituzioni e la perdita dell'indipendenza [nei paesi minacciati dal comunismo, sarebbero disastrosi non solo per loro, ma per il mondo… Se falliamo nell'aiutare la Grecia e la Turchia in questa ora fatale, sia l'Occidente che l'Oriente ne subiranno le conseguenze…"
La situazione era quindi questa. Iniziava la politica del contenimento del comunismo, e cedere ovunque significava gettare i semi della sconfitta. Indubbiamente, non solo all'aggressività sovietica si deve l'inizio della guerra fredda. Molte furono le incomprensioni tra Mosca e Washington, il che portò ad una forma di diffidenza reciproca. Uno degli aspetti più paradossali della nascita della guerra fredda fu l'eccezionale sviluppo economico che avrebbe avuto la Germania. I vincitori, che si erano divisi le spoglie dello sconfitto, andarono d'amore e d'accordo per un periodo molto breve. Questo significò la divisione in aree di influenza (quattro: americana, francese, britannica e sovietica) che, col tempo, si divisero, come è ovvio, in due fronti, gli occidentali da una parte i sovietici dall'altra. Gli effetti della guerra fredda nascente portarono a questo: che, invece che restare uniti nel mantenere la Germania sconfitta in condizioni di debolezza, gli ex-alleati cominciarono a ricostruire ognuno la propria Germania, convinti che un giorno avrebbero annesso la parte in mano al "nemico". Ci fu dunque uno strano paradosso: la storia avrebbe dimostrato che le Germanie sarebbero state due, ma intanto il paese sconfitto riceveva continui aiuti. Si può ben dire, quindi, che la Germania fu, al tempo stesso, beneficiata e vittima della guerra fredda. Solo i francesi, comprensibilmente, si opponevano nel campo occidentale a questa politica di obiettivo rafforzamento dell'antico rivale. I sovietici, da parte loro, prima di lanciarsi nella creazione della Germania Est (ma solo una volta che i piani erano stati fatti) condividevano la stessa politica di Parigi. Gli anni seguenti hanno dimostrato quanto i russi fossero ossessionati dal ricordo del 1914 e del 1941 e della paura di una Germania che risorgesse per vendicarsi. In effetti, nel 1945 il loro obiettivo principale fu mantenerla in ginocchio…". Tutto cambiò con la sterzata della politica americana. Il governo americano terminò la strategia degli "affitti e prestiti", negando proprio un prestito per la ricostruzione ai sovietici. Oltre a ciò, di lì a poco sarebbe venuto il Piano Marshall, con il quale gli americani avrebbero ricoperto l'Europa di dollari. Ovviamente, Stalin si oppose e impedì che i paesi dell'est - inizialmente inclusi nel piano di aiuto, che in ogni caso prevedeva delle contropartite - beneficiassero del piano. Questo rese i rapporti tra U.S.A. e URSS ancora più tesi. In più, la dirigenza americana intendeva stabilizzare l'economia dei settori occidentali della Germania, ricorrendo ad una riforma monetaria, che Mosca vedeva come il fumo negli occhi. Gli occidentali - questo il timore dei sovietici - si sarebbero comprati anche la zona spettante a loro. Una riforma monetaria non avrebbe rappresentato un semplice espediente tecnico. La moneta costituiva allo stesso tempo il simbolo della sovranità e lo strumento per esercitarla. Perciò una nuova moneta messa in circolazione nei tre settori occidentali e a Berlino Ovest, avrebbe significato una nuova forma di organizzazione politica, determinando, nel contempo, la rottura del controllo dei quattro partiti, l'esclusione dell'Unione Sovietica dalle decisioni riguardanti la Germania, nella zona di sua competenza, ed un passo decisivo verso la spartizione - ancora prima che fosse creato - di un governo tedesco-occidentale. I passi per la creazione della NATO, infine, furono la goccia che fece traboccare il vaso. L'alleanza occidentale era percepita in chiave antisovietica, e così i sovietici dichiarano defunto il Consiglio delle quattro potenze. Il blocco di Berlino durò, come detto, dal giugno 1948 al maggio 1949.
In questo periodo due avvenimenti all'interno della zona sovietica contribuirono a irrigidire ulteriormente le posizioni dei due blocchi contrapposti: il colpo di stato in Cecoslovacchia, che diede ai comunisti il potere assoluto, e lo scisma iugoslavo (il 28 giugno 1948 il PC iugoslavo era espulso dal Cominform).I fatti della Cecoslovacchia confermarono gli occidentali nella necessità di contenere la minaccia comunista, mentre la crisi tra Tito (imperialista) e Stalin portò ad un irrigidimento ulteriore di Mosca, che si sentiva accerchiata. Se nel tentativo di sottomettere Tito, Stalin commise gravi errori di giudizio, maggiore abilità dimostrò nel modo in cui condusse quello che rimaneva il tema centrale tanto per l'URSS che per l'Occidente: il futuro della Germania. La partita, quindi, a Berlino non poteva essere persa. La stessa cosa la pensavano però gli americani che, in un certo senso, anticiparono per timore le possibili mosse dei russi, ipotizzando un piano sovietico che, probabilmente, non era ancora in atto, e che non è detto fosse giudicato inevitabile. I primi allarmi a Washington cominciarono a pervenire da due personaggi importanti, l'ambasciatore americano a Mosca e il governatore militare della Germania. Quest'ultimo, nel 1948, arrivò a supporre di fronte ai capi di stato maggiore americani l'imminenza di una guerra. Il tenore era comunque di un continuo allarmismo: i sovietici - questa la supposizione - stavano pensando di isolare la parte occidentale di Berlino. Non dimentichiamo che Berlino era all'interno della zona sovietica, e quindi la sola possibilità di poter bloccare qualsiasi collegamento tra Berlino e l'Occidente fu vista come una realtà imminente. Le potenze occidentali in pratica dal benestare sovietico per quanto riguardava l'invio di rifornimenti necessari per le proprie guarnigioni e due milioni e mezzo di tedeschi. Indubbiamente, da parte dei russi alcune pressioni in questo senso cominciarono, ma non è detto che l'esito ultimo fosse il blocco totale, come poi avvenne. Berlino, comunque, rappresentava un'allettante carta da giocare per Mosca, sarebbe stata un punto mai adatto, quanto altri, per far pressione sugli alleati occidentali se il conflitto fosse entrato in una fase acuta e sarebbe stata nello stesso tempo la scena di una sconfitta decisiva se essi avessero giudicato impossibile restarvi. Non c'è da stupirsi dunque se pochi mesi dopo l'ambasciatore americano a Mosca ipotizzava sulla possibilità del blocco. Impegnandosi ad appoggiare i partiti politici occidentali a Berlino, le potenze occidentali stesse avevano fortemente alzato la posta politica della loro presenza nella città, i non ebbero bisogno di provocare una crisi esplicita Le prime misure per isolare Berlino dall'aiuto occidentale furono adottate nel marzo 1948 e furono giustificate come temporanee interruzioni dovute a lavori di riparazione. Il blocco non fu completato prima di agosto, e a ciascun nuovo passo in tale direzione seguì un intervallo per sondare la reazione degli occidentali e valutare i potenziali pericoli di guerra, eventualità che i sovietici finirono giustamente col convincersi che gli occidentali volevano evitare quanto loro. Lo strangolamento cominciò il giorno dopo dell'ufficializzazione occidentale che la contestata riforma monetaria sarebbe entrata in vigore, con quello che fu chiamato il "mini-blocco". Per dieci giorni, a cavallo tra marzo e aprile 1948, i sovietici rallentarono e interruppero periodicamente e imprevedibilmente il traffico ferroviario. Non solo: annunciarono anche che il progetto economico occidentale intendeva dividere la Germania, e che quindi da parte loro avrebbero incluso Berlino nella loro riforma monetaria della Germania orientale. Accettare avrebbe significato, per gli occidentali, vendere Berlino all'Est, e così annunciarono che il 23 giugno i "nuovi marchi" sarebbero circolati anche a Berlino. La crisi era entrata nel vivo. I sovietici bloccarono tutte le strade che conducevano a Berlino e tolsero l'energia elettrica alla città. L'idea di rifornire la parte libera di Berlino dal cielo fu la logica conseguenza di questa condizione. L'impresa, tuttavia, dal punto di vista militare era pazzesca. Nel giugno 1948 le riserve nei settori occidentali erano sufficienti a garantire cibo per non più di trentasei giorni e carbone per le centrali elettriche per non più di quarantacinque. Il calcolo compiuto da entrambe le parti fu che, al massimo, le potenze occidentali avrebbero potuto mantenere la propria posizione a Berlino per un limitato periodo, dopo di che avrebbero dovuto scegliere solo tra tre possibilità: ricorrere alla forza per spezzare il blocco; compiere un'umiliante ritirata destinata ad avere ripercussioni sull'opinione pubblica tedesca e sulla sua fiducia nelle promesse occidentali; acquisire il diritto a rimanere accettando i termini imposti dai sovietici. Questi d'altro canto non correvano alcun rischio che non potessero immediatamente neutralizzare sollevando il blocco, salvo poi imporlo nuovamente. In undici mesi, l'eccezionale impresa condotta da americani e inglesi, con il contribuito dell'equipaggio da terra tedesco, avrebbe capovolto i rapporti di forza, e il mondo libero avrebbe riportato un'eccezionale vittoria morale e propagandistica. A Berlino, in questo periodo, i sovietici scatenarono una campagna aggressiva che mirava ad isolare e demoralizzare l'area occidentale della città. Nella zona sovietica si era creato "spontaneamente" un fronte dei partiti unico tra socialisti e comunisti, che avevano messo in minoranza qualsiasi altra opposizione. Ora non restava che intimidire i partiti democratici della Berlino occidentale, con l'aiuto zelante dei comunisti di quella zona. A questo punto - insieme all'impresa del ponte aereo, che vide il sacrificio di 79 uomini, tra piloti americani, inglesi e tecnici tedeschi di terra - va anche ricordata l'eccezionale dimostrazione di forza dei berlinesi. In fondo il blocco si rivelò una sorta di "catarsi": il popolo che risorgeva dalle rovine del nazismo, che si vergognava del recente passato e anche della sconfitta subita, si aggrappava agli ideali di libertà e democrazia. I sovietici e gli amministratori comunisti si impegnarono a dimostrare ai berlinesi occidentali che avrebbero potuto restare nella loro città solo se i sovietici lo avessero voluto.
Le potenze occidentali - questo il messaggio - non li avrebbero difesi fino all'ultimo e, prima o poi, li avrebbero abbandonati. Si fece di tutto per ottenere l'adesione di quella popolazione, combinando pressioni politiche e allettamenti materiali. Da una parte si intimidirono i suoi rappresentanti eletti, dall'altra le autorità della zona sovietica offrirono generose razioni di viveri e combustibile a tutti gli abitanti della Berlino occidentale che si fossero registrati a questo scopo a Berlino Est. Quanto fosse coraggiosa e decisa la popolazione di Berlino Ovest lo dimostra il fatto che in pieno inverno, in una città ancora in rovine e dove i vecchi e i malati erano una percentuale molto più alta del normale, solo il due per cento circa della popolazione si fece registrare a Berlino Est. Durante questo periodo, inoltre, fu chiaro che, contro ogni ragionevole previsione, il ponte aereo poteva funzionare. Il 23 giugno, nonostante le minacce dei comunisti, il consiglio comunale di Berlino, riunitosi nel settore sovietico e "privato della protezione della polizia" deliberò il riconoscimento della moneta occidentale nei settori occidentali. Il giorno seguente un raduno di massa di ottantamila berlinesi applaudiva quell'atto di coraggio. Tre giorni dopo, le buone notizie sarebbero cominciate a piovere dal cielo. Senza la minima previsione di quanto sarebbe potuto durare, il ponte aereo iniziò il 26 giugno 1948. Come primo atto simbolico tre squadroni di bombardieri atomici americani B29 raggiunsero la Gran Bretagna: il colosso americano cominciava a mostrare i muscoli. Va ricordato, comunque, che durante la crisi i contatti diplomatici tra Occidente e Mosca non cessarono mai. Ad agosto i tre ambasciatori occidentali ebbero un colloquio con Stalin, che si dimostrò quasi conciliatorio. Era solo una mossa raggirante perché, al sodo, le richieste sovietiche, formulate da Molotov, si rivelarono inattuabili. I sovietici, in ogni caso, non avevano fretta. Ogni giorno che passava il laccio della fame si sarebbe stretto intorno a Berlino. Apparve chiaro che i sovietici aspettavano l'entrata in campo di un "generale" che, nella loro storia, si era dimostrato sempre affidabile: l'inverno. Tutto dipendeva dalla riuscita o meno del ponte aereo. Se questo fosse fallito a causa dei rigori dell'inverno (e l'ultimo giorno di novembre del 1948 la nebbia consentì l'atterraggio a Berlino di soli dieci velivoli), allora tutto il coraggio mostrato dai berlinesi sarebbe andato sprecato. Con grande sorpresa lo sforzo congiunto dell'USAF e della RAF, e l'incessante supporto dei berlinesi nelle operazioni di scarico e manovra degli aerei, riuscì a rifornire di cibo e carbone due milioni e mezzo di abitanti per ben undici mesi, per un totale di ottomila tonnellate al giorno. Solo le cifre, forse, possono spiegare quella che può ben essere definita un'impresa titanica. Nel mese di dicembre il ponte aereo riforniva 4.500 tonnellate di merci al giorno: 500 in più di quelle inizialmente minimamente necessarie per la città. L'inverno dovette inchinarsi agli uomini: ogni novanta secondi c'era un aereo che decollava e atterrava da e per gli aeroporti berlinesi di Tempelhof, Gatow e Tegel. In primavera i rifornimenti raggiunsero così il record di 8.000 tonnellate al giorno: la stessa quantità, sommata, che arrivava prima del blocco per terra e per ferrovia. La resistenza "politica" a Berlino intanto continuava… I sovietici, aiutati dai comunisti locali, puntavano al "putsch", aumentando le pressioni di ogni tipo. Il pericolo era tanto più grave in quanto il terzo vicesindaco di Berlino era membro del partito di unità socialista, e l'Armata Rossa e la polizia fecero di tutto per minare la salute e il morale dei due che lo precedevano nella scala gerarchica affinché si dimettessero e gli permettessero di occupare il loro posto. Dovettero subire interrogatori ogni notte, campagne di intimidazione, e la continua presenza di ufficiali di collegamento sovietici nei loro uffici. L'uomo della resistenza era il secondo vicesindaco, che riuscì a resistere alle eccezionali pressioni comuniste per parecchi mesi, dopo che il primo vicesindaco era crollato A Berlino Ovest, intanto, il sindaco socialdemocratico democraticamente eletto ma non riconosciuto dai sovietici, Ernst Reuter, teneva in perenne mobilitazione i membri del suo partito, pronti a reagire ad un colpo di mano comunista, e convocava comizi-lampo cui partecipavano in pochi minuti migliaia di berlinesi. Intanto, man mano che il ponte aereo resisteva, i rapporti di forza cominciavano a invertirsi. L'opinione pubblica mondiale vedeva la lotta per la sopravvivenza di Berlino con entusiasmo. Vedendo che la battaglia per il possesso di Berlino si metteva al peggio, i sovietici cominciarono a tenere le proprie posizioni in città, puntando deliberatamente ad una divisione di Berlino. Essi infatti costrinsero ogni ufficio occidentale ad abbandonare il settore est, in vista della creazione di un autonomo governo di Berlino est. Quando Friedensburg si vide rifiutare l'accesso all'ufficio del sindaco da un sorridente ufficiale sovietico le due Berlino erano un fatto compiuto".
Da questo momento in poi i sovietici usarono il blocco semplicemente per ritardare il più possibile la nascita della Germania occidentale. Due avvenimenti fondamentali avevano contribuito a spostare la bilancia in favore degli occidentali: a novembre del 1948 il presidente Truman era stato confermato alla presidenza degli Stati Uniti, il 5 dicembre i Berlinesi, resistendo alle intimidazioni, si erano recati alle urne per le elezioni comunali che avevano assegnato una maggioranza dell'83 per cento ai tre partiti democratici Ancora una volta non disponiamo di alcun documento che ci dica perché o finanche quando Stalin decise di riconoscere che la partita era persa. La ritirata sovietica avvenne, secondo costume, in modo indiretto. A febbraio del 1949, nel rispondere alle domande di un giornalista americano sulle condizioni sovietiche per rimuovere il blocco, Stalin omise qualsiasi riferimento alla questione monetaria. In seguito si venne a sapere che l'omissione non era stata accidentale. Di lì a poco il nuovo Ministro degli esteri sovietico - che aveva sostituito Molotov - fece sapere che una riunione del Consiglio dei ministri degli Esteri sarebbe stata una buon punto di partenza per discutere la fine del blocco. Erano solo i primi timidi passi, perché in quei giorni nasceva “l'embrione” della NATO e Mosca avrebbe reagito duramente denunciando la "violazione della Carta Atlantica" e scatenando l'offensiva dei "partigiani della pace". Tutto questo non servì. Berlino resistette con gli aiuti angloamericani, e nel maggio 1949, improvvisamente, i sovietici tolsero il blocco. Il ponte aereo - in una straordinaria dimostrazione di forza - fu mantenuto fino a settembre, per altri quattro mesi. Dalla crisi del blocco di Berlino gli occidentali uscivano più forti. Innanzi tutto, il ponte aereo si rivelò un test per la propria efficienza aerea. La flotta americana ne uscì decisamente rafforzata, tecnicamente e, soprattutto, moralmente. In una prospettiva più ampia il blocco aveva dimostrato che c'erano pericoli reali nella guerra fredda; ma aveva dimostrato anche che nessuna delle due parti voleva in realtà una guerra. In questa situazione non c'era altro da fare che abbandonare la competizione per il controllo di una Germania riunificata le ricominciare da capo sulla base delle due Germanie. Per il futuro non fu più questione di decidere come e quando, ma se la Germania sarebbe stata riunificata.
Il prezzo pagato dai tedeschi portò però anche al rafforzamento del blocco occidentale. In quei mesi l'Alleanza Atlantica avrebbe gettati i semi di una unione che sarebbe durata, e dura tutt'oggi. Come disse in seguito il generale Clay, “il blocco era stata la mossa strategica più sciocca che i russi potessero fare”. Nell'agosto del 1949 furono indette le elezioni nel territorio che sarebbe diventato la Germania federale, a settembre il Bundestag elesse il primo cancelliere della neonata repubblica. Il mese seguente i sovietici chiamarono a Mosca i dirigenti del partito comunista orientale e diedero il placet per la creazione della Repubblica Democratica Tedesca. Le cose, come si sa, non erano destinate a finire così. Le due Germanie si rivelarono due mondi differenti: democrazia e un'eccezionale ripresa economica ad Ovest, un sistema totalitario e povertà all'Est.
Nell'agosto del 1961, in seguito alle continue fughe dei berlinesi orientali nella zona occidentale, il governo della Germania Est, d'accordo con i sovietici, avrebbe cominciato la costruzione del Muro.

Il “Muro di Berlino”

Questo muro, eretto e presidiato militarmente dal governo comunista, isolò Berlino Ovest nella Repubblica democratica tedesca dal 1961 al 1989. Tra l'istituzione della RDT nel 1949 e la metà del 1961 quasi tre milioni di persone abbandonarono il paese, la maggior parte di loro entrando a Berlino Ovest, che, priva di retroterra, nel cuore della RDT, era divisa in settori occupati militarmente da inglesi, francesi e americani.
Durante la notte del 13 agosto 1961 i soldati della RDT e i membri delle sue milizie, i Kampfgruppen (gruppi di combattenti), elevarono barriere temporanee che furono poi in seguito sostituite da un vero e proprio muro lungo 47 km e alto 4 m, da edifici di mattoni e da due punti di guardia. Sebbene il regime annunciasse che questa fosse una misura difensiva contro l'invasione della Germania occidentale, le postazioni anticarro e i fossati che circondavano il muro in tutta la sua lunghezza furono posti all'esterno, per impedire la fuga dei cittadini della RDT. È stato calcolato che, tra il 1961 e il 1989, almeno settanta persone sono state uccise mentre cercavano di attraversare il confine. Nel 1989 il regime della RDT crollò e la demolizione del muro, condotta dai cittadini in un clima di contagioso entusiasmo, ripreso dalle televisioni di tutto il mondo, iniziò il 9 novembre. Oggi sono state mantenute alcune sezioni di muro ed esiste un piccolo museo accanto a quello che fu il più celebre punto di attraversamento, il "Checkpoint Charlie".


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Gli Stati Uniti e le origini della guerra fredda, a cura di Elena Agata Rossi, - Ed. il Mulino
Hilter e Stalin - Vite parallele, di Alan Bullock, - Ed. Garzanti
Il blocco di Berlino, di Philip Windsor, Collana XX Secolo, - Ed. Modandori,
La divisione della Germania, Michael Balfour, Collana XX Secolo, Vol. V - Ed. Mondadori

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