Calabria, sentimento e partecipazione per la Settimana Santa

settimana santa

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di Giuseppina Sapone

Anche se sembra un controsenso associare queste parole, non è affatto inusuale che riti che crediamo cristiani in realtà ricalchino, in forme molto simili, antichi riti pagani praticati nell’antica Grecia e giunti, magari senza che ne possediamo approfondita conoscenza, fino a noi.

In Calabria da sempre la Settimana Santa viene vissuta con particolare partecipazione e sentimento. Diffusissime sono le rappresentazioni della Passione, Morte e Risurrezione del Cristo, nate inizialmente come drammi commissionati dai principi della Chiesa per allontanare il pericolo di eresie e tradurre contemporaneamente il messaggio religioso in forme più accessibili al popolo. Andando ancora più indietro nel corso dei secoli, si scopre che già nella metà del quarto secolo a Gerusalemme venivano organizzate delle funzioni devozionali connesse alla topografia gerosolimitana ad uso e consumo dei pellegrini che si recavano in Terra Santa e potevano quindi assistere alle rappresentazioni della Passione nei luoghi esatti in cui esse erano realmente avvenute.

Le rappresentazioni sceniche della Passione spesso impongono anche l’autoflagellazione: a Nocera Terinese (CZ) dal XVII secolo va in scena un rito religioso che a lungo venne contrastato dalla Chiesa stessa. Durante la processione del sabato santo uno stuolo di giovani, chiamato VATTIENTI, cioè flagellanti, persone che hanno qualcosa da espiare per sé stessi e per gli altri, vestiti di panni corti, a gambe scoperte, si percuotono la parte posteriore dei polpacci e delle cosce con un disco ornato di tredici pezzi di vetro (tanti quanti il numero degli apostoli più Gesù).

Ciascun vattiente è poi ornato di una corona di spine, e accompagnato da un ECCE HOMO, cioè un ragazzino che indossa una veste rossa e trascina con sé una pesante croce . Col sangue fuoriuscito dalle ferite il vattiente lascia un’impronta sulla propria porta di casa, e su quella di parenti ed amici, in segno di buon augurio. Un simbolo di acceso desiderio di punire e castigare la carne, strumento di peccato, e di unirsi spiritualmente e sensibilmente alle sofferenze di Cristo? Forse: ma forse è il ricordo di qualcos’altro, perchè tali riti cruenti non sono nuovi all’umanità.

Secoli fa i Greci e poi anche i Romani celebravano le MEGALESIE, cioè le celebrazioni primaverili dedicate alla Grande Madre. Tutto ciò era legato al ciclico “morire” della terra durante l’inverno e alla conseguente risurrezione primaverile. Le Megalesie iniziavano con una settimana di astinenze, purificazioni e preghiere, una processione ed un sacrificio in onore del dio Attis morto. Il giorno dopo i sacerdoti del dio si autoflagellavano e addirittura mutilavano per invocare la fecondità dei campi, mentre il resto dei fedeli celebrava la sua adesione al rito con un banchetto. Il dio veniva poi compianto in una misteriosa veglia, al termine della quale il sommo sacerdote ne annunciava la risurrezione, e al periodo di espiazione e sacrifici subentrava una gioia sfrenata.

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Author: Maria Cristina Condello

Maria Cristina Condello ha conseguito la laurea Magistrale in "Informazione, Editoria e Giornalismo" presso L'Università degli Studi Roma Tre. Nel 2015 ha conseguito il Master di Secondo Livello in "Sviluppo Applicazioni Web, Mobile e Social Media". Dal 2016 è Direttore Responsabile della testata giornalistica ntacalabria.it

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