Il fico, frutto ambito anche nell’antica Roma, tanto da divenire sacro

Il fico, frutto ambito anche nell’antica Roma, tanto da divenire sacro

di MARIA CRIACO

Nella bassa valle del fiume Giordano in Israele, a Nord, a pochi chilometri di Gerico abitato circa 11.400 anni fa, alcuni ricercatori hanno scoperto in questo luogo nove piccoli fichi, e 313 piccole parti di frutto ormai carbonizzato dal tempo ma, secondo gli studiosi erano stati preparati per essere consumati in seguito.

La scoperta dimostra che i fichi erano coltivati circa cinquemila anni prima di quanto si pensasse, e un migliaio d’anni prima del grano e dell’orzo. L’origine del fico sembra essere l’Asia Occidentale, molto apprezzato dalle popolazioni antiche. Nel Vecchio Testamento il fico viene citato come simbolo di abbondanza.

In India è un albero sacro ed esistono molte varietà sia per forma o colore del frutto. Nell’antica Grecia era protagonista di molti miti e considerato sacro, perché attribuivano la nascita di questo frutto per volere del Dio Dionisio. Ippocrate il medico greco, nei suoi scritti cita il caglio animale come alternativa a quello di fichi, gli antichi greci infatti usavano il latte di fico per far cagliare il formaggio. Platone ne raccomandava il consumo ad amici e studenti per rinvigorire l’intelligenza.

La gradevolezza di questo frutto era ambita anche nell’antica Roma, tanto da divenire sacra come l’ulivo e la vite.
Publio Ovidio racconta che a Capodanno era usanza offrire ad amici e parenti frutti di fico e miele come augurio per il nuovo anno.
I Romani ogni volta che conquistavano una città, imponevano nella piazza principale fosse piantato un fico, in onore della lupa che allattò Romolo e Remo, e che aveva la sua tana proprio sotto un Fico.

Le sue origini partono dalla Cina e India, la sua diffusione nel mar Mediterraneo fu opera dei Fenici che lo usavano come alimento principale durante i loro viaggi in mare, consumavano i frutti essiccati in modo da permettere una lunga conservazione e una notevole fonte di nutrimento.
L’essiccazione e la trasformazione di questo frutto è una vera tradizione antichissima, tramandata soprattutto qui al Sud dell’Italia da generazioni.
Era il dolce “povero” del Natale di tanti anni fa, quando dolciumi e panettoni non erano presenti nelle nostre tavole.

La prima fase dell’essiccazione avveniva lasciando i frutti ad appassire al sole nelle “Ferrazze”, queste ricavate intrecciando graticci di canne, ed erano pronti per essere lavorati quando dalla buccia non fuoriusciva più la polpa, tutto questo avveniva in modo naturale senza additivi o conservanti. Ottimi da mangiare da soli o ripieni di mandorle o di noci.

La “Schiocca” chiamata così in dialetto calabrese, era un metodo per la conservazione di questi frutti, si usavano alcune parti di canne essiccate che servivano per tenere insieme i fichi già cotti, infilzandoli uno dopo l’altro formando delle collane grazie alla duttilità dei graticci, questi fungevano da scorta per tutto l’inverno essendo una fonte ricca, nutriente e ghiotta.

Il fico è definito come frutto, in realtà è un siconio, cioè un’infruttescenza carnosa molto dolce ricoperta da una buccia liscia che varia di colore, dal rosso al viola, al verde, i veri frutti sono i piccoli acheni (semi). Oltre ad essere una prelibatezza molto nutriente, è sfruttato per le sue qualità in ambito fitoterapico, le sue proprietà sono moltepliche: emollienti, rimineralizzanti, curativi della tosse, lassativi, disinfettanti e antinfiammatori del cavo orale.

L’applicazione del loro latte direttamente sulla puntura di un insetto, allevia il dolore e sfiamma il morso. Il latte ricavato dai tagli usato con cautela, è un buon rimedio naturale per eliminare le verruche. Le sue virtù antinfiammatorie hanno tanti altri benefici, ma il suo apporto maggiore è il suo gusto e la sua dolcezza.