Calabria, la pericolosità di fare giornalismo

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di Carlo Parisi, segretario del Sindacato dei Giornalisti della Calabria:

“In una regione, come la Calabria, dove le buste contenenti proiettili e lettere minatorie sono, ormai, all’ordine del giorno in tutte le categorie sociali e professionali, si rischia di far cadere l’attenzione sul grave ed effettivo rischio che molti giornalisti corrono, quotidianamente, nello svolgere il mestiere di cronisti. In una situazione simile, purtroppo, solidarietà, marce, manifestazioni e girotondi servono a poco. Costituiscono, sì, attestazioni di solidarietà e d’affetto ai destinatari delle minacce, ma finiscono per fare il gioco sia di chi vuole alimentare il clima di terrore e la cultura del sospetto, sia di chi costruisce le proprie fortune, economiche e professionali, grazie al professionismo dell’antimafia.

Il caso Terry Jones, il reverendo d’oltreoceano che aveva annunciato il rogo del Corano, dovrebbe averci insegnato qualcosa. Ammesso che ce ne fosse bisogno.

A volte, amplificare certe notizie serve solo a portare alla ribalta pazzi esaltati come il pastore americano o, come nel caso del “tormentone” minacce in Calabria, a far credere a chi le manda che basta una cartolina per fermare la libertà di stampa. 
Lo abbiamo detto al prefetto di Reggio Calabria, Luigi Varratta, ed capo della Polizia, Antonio Manganelli. Lo ribadiamo adesso.

Non smascherare i soliti ignoti rischia di rendere indefinibile il confine tra minacce e folklore.

Nei giorni scorsi, il governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, ha annunciato il proposito del ministro della Difesa, Ignazio La Russa, di inviare l’esercito a Reggio Calabria.

Un’esperienza vecchia e già vissuta senza risultati palpabili, se non quelli relativi allo spreco di risorse economiche pubbliche.
Per combattere la criminalità organizzata occorre, infatti, ben altro. Lo ricordava il compianto generale Gennaro Niglio, all’epoca in cui dirigeva il Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria.

Alla Calabria non servono migliaia di soldati ma qualche investigatore in più. E’ su questa strada che si giocano la credibilità e l’effettiva volontà di smascherare i responsabili del malaffare.

Se il Governo tiene effettivamente alla Calabria mandi più investigatori e magistrati. E, soprattutto, ricordi a Renato Brunetta che è ministro di una Repubblica che comprende anche quella Calabria che, più di tante altre regioni, ha contribuito a farlo accomodare sulla sedia che occupa.

Frasi da bar dello sport non dovrebbero essere pronunciate da un ministro cui stanno veramente a cuore le sorti del nostro Paese.
La sola, bizzarra, ipotesi di pensare ad un’Italia senza la Calabria fa soltanto il gioco di chi, come la ‘ndrangheta, finora ci ha trionfalmente marciato grazie alle colpevoli connivenze di importanti pezzi dello Stato.”

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