Torna puntuale anche per quest'anno
uno degli appuntamenti religiosi più attesi nell'Area
Grecanica e nell'intero Aspromonte orientale, stiamo parlando
dei festeggiamenti in onore di San Leo, protettore e patrono
di Bova di Africo e della diocesi Reggio Bova. Se è
vero che l'Aspromonte costituisce da solo un microcosmo composto
da mille sfaccettature, diventando un piccolo mondo abitato
da gente solo in apparenza simile ma in realtà totalmente
diversa, è altrettanto vero che l'intimo rapporto che
lega gli abitanti di queste montagne alla religiosità
diventa da secoli il più importante e tangibile comune
denominatore di popolazioni divise non solo da vallate, dirupi
e crinali ma soprattutto da tradizioni, culture e brandelli
di storia estremamente variegati. Quello con la venerazione
dei Santi diventa spesso un momento in cui sacro e profano
si mescolano regalando grandi suggestioni. Se andiamo alla
ricerca delle varie testimonianze religiose che hanno resistito
ai secoli, ancora oggi si possono trovare tangibili, soprattutto
sul versante orientale del massiccio le tracce lasciate nei
secoli dai monaci " basiliani", quei seguaci di
"Basilio di Cesarèa" che intorno all'anno
mille popolarono questi luoghi, svolgendo un importante ruolo
non solo dal punto di vista religioso. Asceti e contemplativi
i monaci vissero in caverne ricavate nelle rocce di tufo.
Pare siano stati proprio loro ad importare per primi il castagno,
pianta che anche oggi caratterizza buona parte del paesaggio
fino ai mille metri di quota. Fra i tanti religiosi che dal
mille al milleseicento circa popolarono questi monti, uno
su tutti continua ad occupare nell'immaginario collettivo
un posto di primissimo piano, proprio San Leo, al secolo Leone
Rosaniti, questo il nome di uno dei più famosi monaci
basiliani dell'Aspromonte. Una vita, quella di Leone Rosaniti,
vissuta fra i monti che fanno da cornice ai centri di Bova
ed Africo. Controversa e da sempre oggetto di disputa la teoria
sui suoi natali, una diatriba secolare che vede contrapposti
proprio gli abitanti di Bova ed Africo, accomunati dalla fede
ma per contro divisi da uno spesso futile ed incomprensibile
campanilismo. Per capire meglio dove si concretizzò
l'opera di Leone Rosaniti, facciamo un salto indietro di alcuni
secoli cercando di immaginare come si presentavano le realtà
umane e geografiche di Bova ed Africo intorno all'anno mille.
Il primo, Bova, abbarbicato sulla cima di un monte a 915 metri
di quota in vista al mare Ionio, da sempre faro culturale
e religioso, e indiscusso punto di riferimento per l'intero
comprensorio. Il secondo, Africo, all'epoca casale di Bova,
nascosto, praticamente quasi irraggiungibile, a 690 d'altezza
sovrastato da impenetrabili montagne. Per Africo una storia
dura e travagliata che tocca il suo culmine alla metà
del secolo scorso, nel 1951, quando una tremenda alluvione
ne decreta lo sgombero ed il trasferimento in blocco sulla
costa nei pressi di Bianco. Il tempo trascorso e le successive
ovvie modificazioni imposte dall'incalzare del progresso non
hanno però assolutamente scalfito la fede nei confronti
di quello che ancora oggi continua a rappresentare per la
gente di Africo una delle più importanti figure religiose
a cui votarsi. Così, come accade da oltre mezzo secolo,
tutti gli anni, ogni cinque di Maggio, in occasione della
festa di Bova, i fedeli di Africo si recano in pellegrinaggio
al paese vecchio dove esiste una chiesa (in località
Mingioia) dedicata esclusivamente al culto del Santo. Ma quali
furono le principali gesta che nei secoli contribuirono ad
accrescere la devozione nei confronti di questa figura tanto
amata? Leone Rosaniti, passò praticamente tutta la
sua vita ad alleviare le sofferenze della povera gente, conducendo
un'esistenza votata al martirio fisico e alla solitudine.
Ancora oggi nei luoghi della sua vita sorgono una miriade
di edicolette votive e di perenni testimonianze della sua
presenza e della sua opera arricchita da un numero imprecisato
di miracoli tramandati da documenti ufficiali, ma anche e
soprattutto dai racconti popolari. E' proprio in questi casi,
quando tradizione scritta e orale si fondono, che il forte
connubio fra fede e suggestione raggiunge il suo culmine,
è proprio a questo punto che si evidenzia in modo a
tratti commovente tutta la devozione dei fedeli, un sentimento
sempre a metà strada fra fede e timore nei confronti
di qualcosa a cui non si riesce a dare una spiegazione razionale.
Di fronte alla grandezza di certe figure non esiste alcuna
differenza sociale, culturale o geografica, tutti accomunati
dagli stessi sentimenti, le stesse lacrime, le stesse preghiere,
le suppliche, ma soprattutto dal grande trasporto emotivo
che accompagna chiunque giunga su queste montagne nei giorni
di festa. Per chi da queste parti è nato e cresciuto,
o per chi, lontano dalla propria terra, torna proprio in occasione
della ricorrenza religiosa, diventa quasi impossibile rimanere
insensibili di fronte al busto in argento (custodito nel Santuario
a lui dedicato) contenente le reliquie del Santo, impossibile
non commuoversi di fronte all'imponente vara datata 1858,
trasportata durante una processione che attraversa quasi tutto
il centro storico di Bova. Il cinque di Maggio a Bova, il
dodici ad Africo, due date differenti per un unico grande
momento di fede, un appuntamento che assieme a quello dedicato
celebrazioni in onore della Madonna della Montagna di Polsi
sembrano da soli esprimere la grande religiosità di
un popolo e di una montagna dalla storia affascinate e travagliata,
una storia in cui la religiosità intesa nel senso più
ampio del termine, conserva senza dubbio un posto di primissimo
piano.
Gianfranco Marino
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