La scelta dei Piani regionali di Sviluppo rurale è
quindi definitiva.
Già adottata in sede di Conferenza dei Presidenti delle
Regioni lo scorso mese, ma accompagnata dalla indicazione
di verificare se, a partire dagli stessi Piani regionali,
fosse possibile una intesa da consentirne una gestione in
piena flessibilità finanziaria, ora è stata
confermata dalla stessa Conferenza con una sollecitazione:
considerata la difficoltà di una intesa nei termini
quali quelli fin qui esplorati si attenderà la presentazione
del regolamento applicativo e, laddove a quel tempo fossero
riscontrate possibilità di nuove verifiche, queste
saranno ulteriormente esplorate.
Forme, modalità e tempi saranno a quel tempo decise.
Quel che è certo è che lo Sviluppo Regionale
programmazione 2007-2013 sarà gestito dalle Regioni
in piena titolarità istituzionale ed amministrativa.
Le Regioni quindi si assumono fino in fondo la responsabilità
della futura gestione, responsabilità che non hanno
rifiutato nella programmazione in corso, ma che nella futura
diventerà ancor più impegnativa in presenza
del meccanismo del disimpegno automatico, denominato dell’n
+ 2.
Due linee a confronto
Il Ministro, che aveva proposto il Piano unico nazionale,
ha inviato ai Presidenti delle Regioni una lettera con la
quale, prendendo atto della decisione, conferma le ragioni
della propria proposta, si potrebbe dire rendendo chiare,
a futura memoria, responsabilità, opinioni e giudizi.
Due orientamenti amministrativi, due prospettive programmatiche,
si potrebbe persino azzardare, due linee di politica agraria
si sono confrontate.
In conclusione una doveva essere scelta, questo è stato
fatto come sopra indicato e non si può dire che l’intera
vicenda sia stata ‘incolore ed insapore’.
Occorre che ora non ci si ritrovi ad una sorta di ricorrente
resa dei conti e ad un continuo rimpalleggiarsi di problemi
e difficoltà.
Ora è necessario che l’Amministrazione per la
agricoltura, tutta insieme, sia coerente a se stessa ed a
servizio della società agricola per definire programmi,
conseguire successi in materia di redazione dei regolamenti
comunitari ancora da approvare, produrre efficienza amministrativa
per sostenere il settore, presto e bene.
Nelle prossime settimane si vedrà se questo si potrà
realizzare oppure, al contrario, se aggiuntive fatiche politiche
ed amministrative si aggiungeranno a quelle fin qui patite.
La vicenda sollecita inoltre articolati approfondimenti di
indirizzo, che potranno essere ripresi in futuro.
Ciò a ragione del fatto che lo Sviluppo Rurale è
materia non certo irrilevante sia per l’insieme delle
politiche di investimento in agricoltura, ma anche per la
globale dimensione della politica agricola in Europa e del
suo svolgimento amministrativo.
Commistioni impossibili
Tuttavia abbiamo di fronte una scelta che consente specifici
commenti.
Motivo della spaccatura che si è determinata è
stata la interpretazione della titolarità dello Sviluppo
Rurale a fronte delle future riconosciute difficoltà
che deriveranno dalla applicazione del disimpegno automatico.
Sarebbe stata possibile una gestione regionale autonoma delle
risorse con il Piano unico nazionale?
Occorre essere netti su questo punto, una gestione autonoma
dal punto di vista della effettiva e piena titolarità
istituzionale e di rango nei confronti delle Istituzioni comunitarie
oltreché politico programmatica ed anche rispettosa
delle prerogative costituzionali?
Quale che siano i giudizi di ciascuno, questo non sarebbe
stato possibile perché tutto l’impianto regolamentare
si basa sulla netta separazione fra programmazione nazionale
o regionale, senza possibilità di improprie commistioni.
A fronte di ciò quindi una scelta regionalista corrisponde
alle decisioni istituzionali ed amministrative adottate dal
nostro ordinamento e nessuno se ne può adontare oltre
una certa misura.
Come redistribuire le risorse
Ma considerato che il problema della flessibilità finanziaria
esiste, per superarlo non ci sono alternative ad una intesa
fra tutte le istituzioni interessate: Stato e Regioni. Una
intesa non solo di tipo politico, cioè di condivisione
di un indirizzo, ma di tipo istituzionale, cioè misurabile
in base alle leggi vigenti ed in base all’ordinamento
amministrativo che è stato adottato dal nostro Paese.
“Non siamo al mercato del pesce ! …” taluno
ha sostenuto.
È per questo motivo che la Presidenza della Conferenza
delle Regioni ha avanzato la proposta di una intesa da adottarsi
in base all’ articolo 8, comma 6, della Legge n. 131.03,
nota come legge La Loggia, la quale applica la riforma costituzionale
del Titolo V, sul potere sostitutivo.
Lì sarebbe possibile adottare una intesa fra Regioni
che assegna alla Conferenza Stato Regioni il citato potere
sostitutivo di intervento, il quale consisterebbe null’altro
che nella costituzione di un condiviso rigoroso meccanismo
di monitoraggio della spesa regionale dal quale ricavare l’indicazione
della redistribuzione necessaria delle risorse non utilizzabili
nelle programmazioni in corso.
Lo stesso regolamento n. 1698.05, art. 77, consente la costituzione
di un Comitato nazionale di sorveglianza amministrativa in
quei Paesi ove viene adottata la decisione della programmazione
regionale.
Non saremmo quindi al di fuori di un orizzonte normativo previsto
anche a livello comunitario.
Certamente non sarebbe una gestione amministrativa facile,
di immediata scorrevolezza, ma salvaguarderebbe le prerogative
fondamentali delle istituzioni italiane e consentirebbe il
conseguimento degli obiettivi per i quali tante parole sono
state spese.
E quando mai in agricoltura le cose sono facili, si potrebbe
aggiungere.
Ci vuole una intesa però, la volontà di perseguirla
e la volontà di praticarla laddove conseguita.
Questo dovrebbe essere l’impegno, non l’unico,
delle prossime settimane di lavoro.
24 ore agricoltura - 22/02/06
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