La “triste” storia di un malato di cancro costretto a comprarsi gli antidolorifici

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“L’ignoranza uccide più del cancro”. Non è una frase ad effetto ma la triste realtà di ciò che accade in una società civilizzata, in quella società che, ogni mattina, si sveglia, lavora e prova ad essere civile. Ma spesso non è così, purtroppo. Lo sa bene Peppe, un giovane laureato ed ex professionista che, proprio a causa del cancro, ha dovuto fare i conti oltre che con la sua terribile malattia con un’altra “bestia”, l’indifferenza di un sistema apparentemente civile. Ascoltare la storia di Peppe ti squarcia l’anima, fa capire quanto a volte sia piccolo ed egoista l’essere umano. Facciamo un passo indietro. Peppe si laurea con il massimo dei voti all’Università, riesce a farsi spazio in un noto studio tecnico ed inizia a lavorare per realizzare qualche sogno. Sin da bambino, sa cos’è la fatica, la sofferenza, gli stenti di una vita non agiata ma il suo must è “Non mollare, perché la vita va vissuta sempre”. Quella stessa vita che con lui si è presa gioco due volte: prima il cancro e l’isolamento di chi diceva di volergli bene, di stimarlo e poi la “beffa” fatta da questo sistema che gli fa pagare, nonostante la malattia, gli antidolorifici. Quelle fiale di medicinale che a Peppe danno un po’ di sollievo durante il giorno ma purtroppo, per lo Stato non sono mutuabili.

“Era estate e tornavo a casa dopo aver disputato una partita di calcio – racconta Peppe – Sotto la doccia, ho sentito un gonfiore dietro la nuca. All’inizio non mi sono preoccupato, pensavo fosse una puntura di insetto o un neo. Col passare dei giorni, quel gonfiore iniziò a darmi fastidio, avevo dolori alla testa, ero privo di forze. Gli esami poi mi rivelarono l’atroce realtà. Ad un tratto, la mia vita prese una piega diversa: niente più studio, lavoro, uscite con gli amici, partite di calcio ma solo e soltanto tour in ospedali e operazioni. Tante operazioni”.

Peppe racconta quel periodo caratterizzato anche dal coma e della sua “quotidiana paura del buio, di chiudere gli occhi e rivivere quella vita sospesa”.

“La notte mi spaventa perché quando ero in coma, ricordo che sentivo le voci intorno a me, l’affetto dei miei cari, la forza di mio fratello che mi stringeva la mano, la tenerezza e l’amore di mia madre che mi baciava. Ma io ero avvolto da una straordinaria luce che, all’inizio, mi bloccava. Giorni passati nella prigione di un’incoscienza apparente che cercavo di evadere sognando. Quel tunnel buio ad un tratto fu illuminato da una forte ed intensa luce che mi spingeva. Mia madre mi ha detto che piangevo, era il mio cuore che si ribellava al destino. Ricordo che sognavo, i sogni mi hanno fatto compagnia. Altro che film, quello che ho visto era vero”.

Poi il risveglio dopo aver per tanto tempo urlato senza che nessuno potesse ascoltarlo. Ancora visite, chemioterapia, umiliazioni nel dover sentirsi dire da qualche professionista “sai forse è meglio che ti fermi col lavoro perché non puoi dare il massimo…” e quella battaglia da portare a termine. Peppe non è arrabbiato col mondo, nemmeno con quel sistema che gli fa pagare i costosi antidolorifici che deve fare tutti i giorni per poter vivere o con quegli amici e colleghi che lo hanno abbandonato solo perché è malato. Non ce l’ha col Destino che ha scelto lui come sua “vittima”. Nel suo cuore c’è ancora tanta fiducia, speranza di “nascere una seconda volta, di riprendersi la sua vita da trentenne, di lavorare per questa città”.

Sa però che “l’indifferenza è peggio del cancro ma anche che un sorriso e la compagnia sono la cura migliore”.

“La paura bussò alla mia porta e il coraggio andò ad aprire – dice Peppe – Io vorrei dire alla mia Reggio di non arrendersi e ai politici di lavorare per risolvere le carenze della nostra sanità. Ci sono tanti bravi professionisti in ospedale ma pochi sono i mezzi, spesso mancano le medicine, strutture adeguate per un malato di cancro. So che è difficile, che a volte i problemi quotidiani ci allontano dalle cose vere della Vita ma almeno proviamoci. Io sono ancora vivo, malato ma vivo, e ho diritto anch’io di fare qualcosa per la mia città. Difendiamo quello che è nostro e non facciamoci più prendere in giro dagli abbindolatori di sogni, perché non tutti hanno la fortuna di avere una seconda opportunità”.

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Author: Cristina

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