Ecolandia, la Città si interroga sugli Orti Urbani

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Al PARCO ECOLANDIA ha accolto la comunità degli architetti della Provincia di Reggio Calabria, che si sono riuniti per partecipare al seminario sugli “Orti Urbani, tra architettura e regolamentazione”, organizzato dall’Ordine degli Architetti P.P.C. di Reggio Calabria, in collaborazione con il Workshop “L’Orto incolto” promosso da SUDARCH, nell’ambito del progetto “L’Orto di Calipso – Il Giardino Mediterraneo tra arte, leggende, mitologia” – Progetti culturali innovativi – P.I.S.U. Città di Reggio Calabria – POR CALABRIA FESR 2007/2013 ASSE VIII CITTÀ” (partners di progetto Accademia di Belle Arti, Conservatorio di Musica F. Cilea, Ecolandia scrl).

Circa 100 partecipanti hanno colmato la sala di co-working “Ecolhub” (sala annessa all’eco-ristorante di Ecolandia), concessa gentilmente in uso da “L’AtTrattoria”, per confrontarsi sul tema degli Orti Urbani, sulle innumerevoli declinazioni di agricoltura urbana, ma, soprattutto, su come gli architetti possono intervenire in questa nuova forma di agricivismo attraverso azioni di orto-paesaggio urbano e periurbano, che stanno avendo un’ampia diffusione in alcuni Paesi, e che può trovare una sua contestuale applicazione anche a Reggio Calabria.

Dopo i saluti del Presidente di Ecolandia, Pietro Milasi, che ha invitato i presenti ad adottare l’idea del parco quale nuovo fulcro cittadino, si entra nel vivo del seminario con l’introduzione del Presidente degli Architetti Paolo Malara: “Gli orti urbani costituiscono uno dei temi attualmente maggiormente esplorati da istituzioni, associazioni e gruppi di cittadini. L’appuntamento imminente di EXPO 2015, incentrata sul tema del nutrimento dell’Uomo e della Terra, rende ancora più attuale il tema. Noi possiamo e dobbiamo sfruttare questa scia di sensibilità per ripensare la città in maniera concreta e sostenibile, ma fuori dalle mode”.
Apre il seminario il primo intervento di Maria Rosa Russo, architetto paesaggista: “L’orto urbano è un pretesto per agire verde nella dimensione urbana…”; quindi conduce il suo intervento tra esempi e provocazioni, una su tutte, quella delle “Piazze di Padre Pio”, come esempio di spazio collettivo curato, con annesso spazio giochi e dotato di regolamentazione.

Segue l’intervento dell’Avv. Giuseppe Minniti, che passa in rassegna e confronta le diverse regolamentazioni locali, regionali e sovraregionali: “La regolamentazione sugli orti urbani parte dal basso…ratifica, organizza e armonizza le istanze e le buone prassi locali, tracciando Linee Guida operative”.
Tra il pubblico, presenza discreta sedeva il vicesindaco di Reggio Calabria Saverio Anghelone, che ha ascoltato attentamente sia gli interventi che il dibattito finale, assumendo l’impegno a farsi promotore di un tavolo tecnico sugli orti urbani nella nostra città.

Reggio Calabria è stata una città giardino, con orti urbani diffusi e una cintura esterna di agrumeti, uno status che deriva da una molteplicità di fattori specifici del capoluogo calabrese, in primis l’eccezionale microclima. Accanto a questo v’è una lunga tradizione cittadina della filiera del cibo, che vedeva già negli cinquanta i primi banchi, organizzati o spontanei, su crocevie e piazze cittadine, per la vendita di prodotti agricoli provenienti dagli orticelli delle periferie e dalle vicine campagne.
Oggi Reggio Calabria ha tutto il potenziale per inserirsi tra quelle città italiane leader in tema di orti urbani (come Torino o Milano, per esempio), sia per la sua tradizione, sia perché sta prendendo corpo l’agricoltura urbana come misura di sussistenza, come misura di recupero sociale, come azione di riqualificazione ambientale dall’abbandono e dalla cementificazione.

Guardando in particolare a Torino, come amministrazione attenta al fenomeno (una delle prime città italiane ad emanare un regolamento apposito per gli orti urbani, più di vent’anni fa, per fermare l’abusivismo edilizio ed incentivare gli orti urbani con una corretta gestione), anche Reggio Calabria può (e forse deve?) intraprendere questa strada, a partire dalle sensibilità già attive sul territorio. E’ indubbio che il primo passo deve essere accompagnato da attività di tipo conoscitivo e tecnico, va innanzi tutto effettuato uno studio sul campo degli spazi già adibiti ad orto, quelli disponibili e quelli potenziali, quindi avviare azioni di sensibilizzazione, incentivazione e regolamentazione.

Parlando di orti diffusi a Torino associati agli impatti architettonici, non si può non fare riferimento al quartiere Falchera, nella periferia Nord, dove gli orti urbani sono una presenza importante da sempre per autoconsumo di necessità. Esemplare è l’esperienza di qualche anno fa, quella nell’ambito di “Torino World Design Capital”, dove lo studio di architettura di Roma, 2A+P, ha trovato una soluzione in senso estetico delle aree ortive, una sintesi tra le esigenze dei coltivatori di orti ed i cittadini perplessi sull’impatto estetico dei campi.

I precursori degli orti urbani di oggi che tanto in Italia ci piace fare, sono quelli dell’esperienza durante la prima e seconda guerra mondiale (si ricorda in particolare un importante movimento in Inghilterra, Stati Uniti, Canada con il nome di Victory Gardens o giardini di guerra) per far fronte alla mancanza di cibo senza la forza lavoro in quel momento impegnata al fronte. Così nel marzo del 1917 in Nordamerica si creò la commissione nazionale di giardini di guerra. I primi orti urbani di necessità sono nati utilizzando tutto lo spazio pubblico disponibile. Durante la seconda guerra mondiale più di 20 milioni di persone hanno seguito questa campagna con il risultato che il 40% di tutto il consumo di verdura della nazione é stato prodotto da questi orti urbani. Oggi, potremmo paragonare la crisi persistente ad una guerra…

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Author: Francesco

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