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Sulla scia della più grande mistica dei tempi moderni

È noto che la più grande mistica dei tempi moderni, Teresa di Lisieux, com’ella stessa narra nella storia della sua vita, ha desiderato chiamarsi in religione Teresa di Gesù Bambino, perché, essendo la sua anima attratta da una tenerissima devozione verso l’infanzia del Signore, si era appunto offerta al Bambino Gesù per essere «il suo piccolo giocattolo».
Dobbiamo peraltro alla chiaroveggente perspicacia e saggezza della sorella, la madre Agnese di Gesù, la specificazione delle ragioni per cui la santa ha altresì assunto, in un momento successivo alla professione religiosa, l’appellativo, comunemente meno conosciuto ma non per questo meno importante, del Volto Santo. La madre Agnese infatti che, per aver avuto più di ogni altro familiarità con la sorella, è stata la principale testimone nel processo di beatificazione e canonizzazione della serva di Dio, a tale riguardo depone: «La devozione al Volto Santo fu l’attrattiva speciale della Serva di Dio. Per quanto tenera fosse la sua devozione al Bambino Gesù, essa non può essere paragonata a quella ch’ella ebbe per il Volto Santo. È al Carmelo che, nel momento delle nostre così grandi prove relative alla malattia al cervello del nostro padre, si affezionò maggiorente al mistero della Passione, è allora ch’ella ottenne di aggiungere al suo nome quello del Volto Santo. Ella medesima dice dove ha attinto l’idea di questa devozione. Scrive: “Queste parole d’Isaia: 'Egli è senza splendore, senza bellezza, il suo volto era come nascosto, e nessuno l’ha riconosciuto hanno fatto tutta l’essenza della mia devozione al Volto Santo, o, per meglio dire, l’essenza di tutta la mia pietà. Anch’io desideravo essere senza splendore, senza bellezza, sola a pigiare il vino nel frantoio, sconosciuta a tutte le creature”».
È del pari noto che la madre Agnese di Gesù nel corso della sua chiara, logica, documentata deposizione al processo apostolico ha presentato tre documenti particolarmente importanti, dei quali è interessante qui riassumere per sommi capi il secondo, che rappresenta una vera e propria sintesi del messaggio dottrinale della serva di Dio sulla via dell’infanzia spirituale che conduce alla vetta della santità. «La Serva di Dio — annota tra l’altro la madre Agnese di Gesù in questo documento — fu in modo assai particolare attirata dallo Spirito Santo a seguire quella ch’ella ha chiamata “la sua piccola via”, desiderando ch’essa sia conosciuta da tutti, perché era “il precetto del Maestro”, perché, per lei, la verità era là tutta intera. «Questa piccola via è semplicemente una via di umiltà, che riveste un carattere speciale di abbandono e di fiducia in Dio, che richiama alla memoria ciò che si vede nei bambini più piccoli i quali sono di per sé dipendenti, poveri e semplici in tutto. Ella fondava “la sua piccola dottrina”, com’ella diceva, sulla dottrina stessa di Nostro Signore, e faceva la sua meditazione preferita e le sue delizie di queste parole del Vangelo ch’ella approfondiva incessantemente: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli”». Quindi la madre Agnese di Gesù, dopo aver riportato altri analoghi brani evangelici, che più sollecitavano la riflessione della sorella e insistenti nella medesima dottrina, scende a precisare le note distintive della via dell’infanzia spirituale implicanti, con il totale abbandono e la totale fiducia in Dio, la totale dipendenza da Dio stesso, la totale povertà e semplicità di quanti la percorrono. In sostanza, «restare bambini» davanti al Signore, attesta l’avveduta «piccola Madre», citando le parole della santa, «significa riconoscere il proprio nulla, attendere tutto dal buon Dio come un bambino attende tutto da suo padre. Significa non preoccuparsi di nulla, non accumulare ricchezze».
Chi, come colui che scrive — e con lui tanti altri membri del clero e del laicato reggino — ebbe la ventura di ammirare lo spirito d’incantevole umiltà che contrassegnò la vita e l’opera di padre Gaetano Catanoso, alla lettura dei dati suesposti, non può certamente non avvertire come un arcano impulso che lo induce a intravedere riflesse nella luce palpitante di questi dati le connotazioni proprie della figura del servo di Dio che la Chiesa calabra del nostro secolo ha potuto annoverare tra i suoi figli più degni e benemeriti. Esultanti pertanto, alla luce della beatificazione di Gaetano Catanoso, «il primo Sacerdote diocesano calabrese a salire alla gloria degli altari», siamo stimolati a concludere che egli fu per noi un uomo essenzialmente evangelico; un uomo cioè che, ben consapevole delle pressanti istanze del mondo contemporaneo, visse in pienezza il mistero della Chiesa, sapientemente congiungendo alla più intima comunione con Cristo l’ardore dell’apostolato esterno, e superando in tal modo ogni distacco tra la dimensione specificamente contemplativa e quella specificamente attiva, ambedue miranti alla conquista del maggior numero di fratelli alla causa della salvezza.

Gaetano Catanoso
Immagine del Buon Pastore nel mondo contemporaneo
Apostolo della devozione riparatrice
«Sacerdote eucaristico» e vessillifero dell’Eucaristia
Eccelso protagonista dei consigli evangelici
maestro d'infanzia spirituale
Sulla scia della più grande mistica dei tempi moderni
Ricordato a Reggio Calabria
 
Raccolta foto di Pasquale Catanoso

 

 
 
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Gaetano Catanoso
Immagine del Buon Pastore nel mondo contemporaneo
Apostolo della devozione riparatrice
«Sacerdote eucaristico» e vessillifero dell’Eucaristia
Eccelso protagonista dei consigli evangelici
maestro d'infanzia spirituale
Sulla scia della più grande mistica dei tempi moderni
Ricordato a Reggio Calabria
 
Raccolta foto di Pasquale Catanoso
 
 
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