Sant’Agata del Bianco, Reggio Calabria

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Di Lilli Tripodi

I terribili terremoti cui la Calabria è da sempre soggetta hanno avuto spesso il duplice ruolo di distruttori dell’ambiente fisico e urbano esistente e, d’altra parte, di generatori di nuove comunità sociali. Ciò è quanto avvenuto in località Giardini di Campolaco, luogo in cui conversero le popolazioni contadine insediate nelle campagne intorno, in seguito al sisma del 1349, e che i nuovi abitanti ribattezzarono con il toponimo della Santa di cui erano e sono tuttora devoti. I santagatesi, oltre che dediti ai mestieri tradizionali dell’agricoltura e dell’allevamento, che pure hanno reso loro eccelsi prodotti quali vino, olio d’oliva, salumi e formaggi, sono sempre stati grandi artigiani abili nella lavorazione del legno e del ferro battuto. Tuttora in corso è anche la coltura del baco da seta. Dai ritagli delle pregiate stoffe così ottenute le donne santagatesi sono in grado di ricavare altri capolavori artigianali, le pezzare, note anche in altri contesti della Locride, per esempio a Stilo. Altri elementi accomunano Sant’Agata al resto della Locride: lo scenario naturalistico tra mare e montagna, la presenza di una bella chiesa patronale, quella di Sant’Agata, e dei ruderi di un antico palazzo baronale, il palazzo di Ignazio Franco risalente al 1400. Questi sono elementi da considerare fondamentali poiché costituenti un ulteriore tassello della grande realtà territoriale che è la Locride e che Sant’Agata del Bianco è riuscita a far emergere a livello nazionale, dal momento in cui, nel 1924, diede i natali allo scrittore Saverio Strati che, con il suo romanzo Il selvaggio di Santa Venere, venne proclamato vincitore del premio Campiello (Venezia, 1977).

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Author: Lilli Tripodi

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