Riflessioni del Consigliere Omar Minniti sul 150° anniversario dell’unità d’Italia

Omar Minniti

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Omar Minniti

di Omar Minniti

L’avete presente il finale del primo film su “Fantozzi”, la brillante saga tragicomica che ha visto come attore protagonista Paolo Villaggio? Il nostro sfortunato ragioniere, dipendente della Megaditta, dopo una delusione amorosa con la signorina Silvani decide di farsi mandare in una sorta di reparto punitivo. Qui incontra un giovane intellettuale rivoluzionario – il compagno Folagra –  dalle idee e la dialettica un po’ confuse ma efficaci, che convince Fantozzi ad abbracciare il marxismo. Dopo innumerevoli notti passate piegato su “letture maledette”, attraverso le quali il ragionier Ugo apprende verità nascoste, urla tutta la propria rabbia: “Ma allora mi han sempre preso per il culo!”. E’ la molla che lo induce a scagliarsi, anzi a scagliare letteralmente un sasso, contro i padroni a cui fino ad allora era stato fedele.

Tanti meridionali, in questi mesi di celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia, stanno provando le medesime sensazioni di Fantozzi. Non è da ora che hanno capito di nutrire un amore non bilaterale, non corrisposto dalla signorina Silvani di turno: l’Italia nata nel 1861 dall’annessione savoiarda. Lo avevano compreso empiricamente anche i loro avi, contadini scacciati dalle terre comuni, migranti sulle navi della speranza per gli Stati Uniti e l’Australia, carne da cannone nelle trincee sul Carso o nelle sciagurate aggressioni coloniali fasciste, operai-macchine nelle fabbriche di Agnelli. Ma, da buoni testardi, i meridionali non hanno smesso mai di tentare, tramite approcci galanti al limite della prostrazione, di indurre la Silvani tricolore a mutare atteggiamento nei loro confronti. In fondo anche “sui monti di pietra può nascere un fiore”, cantava Gianni Morandi.

A tutto, però, c’è un limite. Pure il più cocciuto degli infatuati a un certo punto getta la spugna e cerca di conoscere il perché del rifiuto. E’ il momento delle pause di riflessione, degli interrogativi. E’ il momento del confino volontario, in cui è possibile che si incontri qualche intellettuale  anticonformista come Folagra, che si incappi in “letture maledette” sulla vera storia dell’unità d’Italia. Quella storia che qualcuno comincia a chiamare “MalaUnità”. Come il collega di Fantozzi, questi scrittori, giornalisti, storici e musicisti hanno tanta collera dentro, intraprendono strade spesso contorte e dalle mete non certe, ma mettono il dito nella piaga e puntano i riflettori su vicende umane e politiche celate e rimosse.

Arrovellati da mille domande, ecco i nostri meridionali con gli occhi solcati dalle notti insonni,  piegati su “Terroni” di Pino Aprile, sulle opere semi-clandestine di Nicola Zitara, le autobiografie di ribelli come Carmine Crocco, qualche frammento gramsciano (“Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti”, affermava  il comunista sardo nel 1920) e le inchieste di chi odia un re (Savoia) perché ne avrebbe voluto un altro (Borbone). Un cocktail micidiale, insomma. Eccoli incollati ai video di Youtube realizzati alla meno peggio, a qualche film prontamente ritirato dalle sale o irreperibile. Eccoli ad autoprodursi “compilation dell’orgoglio meridionale”,  mettendo una buona dose di Eugenio Bennato, un pizzico di Rino Gaetano, qualche pezzo degli Stormy Six del 1972 (non neoborbonici calabresi, ma marxisti-leninisti milanesi), una punta di Nino Forestieri; il tutto condito con gli inni di Valerio Minicillo ed Eddy Napoli e insaporiti dalle sonorità word music, hip-hop e rock dei gruppi della scena alternativa (Almamegretta, Kalamu, Kalafro e altri).

Dopo l’orgia di libri, filmati e canzoni, anche i meridionali – alla stregua di Fantozzi – capiscono che le cose non sono andate come ce le ha descritte la storiografia ufficiale. Capiscono che quella del Meridione non è stata proprio una liberazione, festeggiata da folle di contadini, donne e bambini sorridenti, e che il Sud prima del 1861 non era affatto il paese di Pulcinella. “Ma allora ci han sempre preso per il culo!”, gridano pure loro, pronti a scagliarsi contro la “Megaditta”che celebra l’unità nazionale con mostre, convegni e solenni parate.

Ben venga questa ribellione. Ben venga questa nuova coscienza, soprattutto da parte dei giovani meridionali che, come i propri padri, nonni e bisnonni, ripongono le proprie speranze nelle valigie che li accompagnano verso il Centro-Nord. Migranti, “terroni viaggianti”, per non fare i disoccupati in loco, oppure la manodopera delle cosche. Questa rabbia è sana e vitale e può essere incanalata nelle folate di Scirocco che, dopo aver toccato paesi mediterranei fratelli come la Grecia, l’Albania, la Tunisia e l’Egitto, ora puntano dritte all’Italia. Ma dall’esperienza vissuta da Fantozzi bisogna trarre tesoro anche degli errori, per non essere destinati al medesimo epilogo. Ricordiamo come finì il film: dopo il gesto estremo Fantozzi viene inviato a conferire dal Mega Direttore Galattico, che lo spedisce nell’ “acquario dei dipendenti” a fare bella mostra di sé come “triglia umana”. Un fenomeno da baraccone, insomma, una caricatura da mostrare per il pubblico ludibrio altrui. E’ questo il rischio che non deve correre il nuovo meridionalismo: quello di essere tacciato come nota di folclore, come macchietta, facendo proprie prospettive fuorvianti e antistoriche, vedi il ritorno a monarchie deposte. Oppure di essere speculare, di essere l’altra faccia della medaglia, delle pulsioni separatiste intrise di razzismo, xenofobia, egoismo localista che fuoriescono dalla pancia del Nord e danno vita a mostri come la Lega.

La ribellione per riproporre al centro dell’agenda politica la Questione Meridionale può e deve essere una cosa seria. Da essa dipende il futuro delle nuove generazioni di calabresi, siciliani, lucani, pugliesi, molisani, sardi e abruzzesi. Una cosa troppo seria, appunto, per essere riposta nelle mani di pittoreschi gendarmi borbonici pronti a riconquistare Gaeta o di vecchie volpi della malapolitica, alleate di governo di Bossi, e dei loro autoproclamati movimenti, partitini e mini-leghe di matrice “sudista”. La lotta per rimediare i danni della “MalaUnità” va condotta sul piano della controinformazione, riprendendoci la nostra memoria storica e la dignità rubata, dando decoro non solo ai nostri martiri ma anche alle nostre eccellenze. Sul piano della mobilitazione di piazza, per ribaltare l’atteggiamento nordcentrico di tutti i governi degli ultimi 150 anni (a parte piccole parentesi); per impedire l’ulteriore spoliazione dei servizi pubblici, i trasporti e l’economia del Meridione, divenuto pattumiera di scorie altrui e deposito di opere inutili e dannose; per liberare il territorio dalle mafie, le massonerie e i potentati, prima foraggiati dai capitalisti del Nord e oggi tutt’uno con questi. Una lotta che va condotta anche e soprattutto dentro le forze democratiche, i movimenti progressisti, le organizzazioni sindacali e le articolazioni varie della società civile, pure questi non esenti da subalternità al “vento del Nord” e pregiudizi antimeridionalisti. E’ uno scontro arduo, certo, ma una delle “doti” che ci vengono universalmente riconosciute non è la “capa tosta”?

Fantozzi è andato in paradiso e poi è risorto. Perché non possono fare altrettanto i meridionali?

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Author: Maria Cristina Condello

Maria Cristina Condello ha conseguito la laurea Magistrale in "Informazione, Editoria e Giornalismo" presso L'Università degli Studi Roma Tre. Nel 2015 ha conseguito il Master di Secondo Livello in "Sviluppo Applicazioni Web, Mobile e Social Media". Dal 2016 è Direttore Responsabile della testata giornalistica ntacalabria.it

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